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TESTO Tutti vivi con Cristo risorto

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa II) (02/11/2005)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

"Un cane che muore e sa che muore, e può dire che muore come un cane, è un uomo"

Con questa massima Erich Fried afferma che l'unico essere vivente consapevole di dover morire altri non è che l'uomo, e proprio la consapevolezza di dover morire lo distingue da tutti gli altri animali. In fin dei conti la morte è una tappa che gli uomini di tutti i tempi hanno dato sempre per scontata e di cui vi è sempre stata coscienza; per di più quello del trapasso è in fin dei conti un appuntamento accettato da tutti perché appunto da tutti risaputo, e pertanto non dovrebbe neppure incutere timore....

Eppure, più di una volta abbiamo affermato che la morte fa' paura, che di fronte alla prospettiva della nostra scomparsa ci avviliamo e sgomentiamo e che è comprensibile il pianto e il dolore nella circostanza triste della scomparsa di un nostro caro.

Il fatto è che non ci fa' paura la certezza di dover morire, quanto piuttosto il fatto che la morte ci coglie alla sprovvista nel caso di tante persone che scompaiono a volte prematuramente: in siffatte circostanze ci sentiamo pesci fuor d'acqua, avvertiamo lo sconcerto e la fragilità che ci procura la morsa del dispiacere nonché la tristezza e lo smarrimento dell'abbandono e ancora si ha l'impressione che l'intero mondo ci crolli addosso.

Ma quello che maggiormente si avverte in questi casi è la necessità della certezza di una soluzione all'evento morte, in altre parole si vuole la prova o almeno la consolazione di sapere che c'è un'altra vita oltre quella del corpo, per cui il nostro carissimo fratello scomparso continua a vivere e non ci abbandona e sarà sempre felice. E' il caso questo specialmente delle mamme dei giovani scomparsi prematuramente vuoi negli incidenti stradali, vuoi in circostanze di pericolo sul lavoro, vuoi a causa di malattie improvvise: questi genitori, che molto spesso si organizzano anche in apposite associazioni culturali e religiose, fondamentalmente vogliono quantomeno approfondire tale argomento: "Mio figlio è davvero ancora vivo?" E tante volte c'è chi cade nella trappola illusoria della divinazione e dello spiritismo, ritenuti lo strumenti infallibili per poter comunicare direttamente con questi ragazzi scomparsi.

Certo, nella circostanza della morte di un nostro fratello provare dolore è legittimo nonché connaturale all'esperienza umana. Anche Gesù pianse di fronte alla tomba del suo amico Lazzaro, nonostante sapesse che poteva risuscitarlo e nella Scrittura il lutto e il lamento sono una costante nelle attitudini di Israele mentre in tutte le culture e .le dimensioni viene ritenuto addirittura anomalo che non si versino lacrime ai funerali di un amico o di un parente, tuttavia il dolore non può avere la prevalenza su esseri intelligenti che hanno il privilegio di sapere, unici fra tutti gli animali, che prima o poi si deve finire: appunto il fatto che sappiamo di dover morire dovrebbe quantomeno lenire il dolore ed evitare che questo si trasformi nella morsa cruenta della disperazione; quanto all'interrogativo inquietante sulla verità della vita eterna, anch'esso trova una valida soluzione e ha una risposta che verte in senso affermativo.

Sì, i nostri morti non sono affatto scomparsi dalla scena di questo mondo e continuano a vivere con noi accompagnandoci nella difficoltà del nostro itinerario terreno. Essi cono sempre con noi, non ci abbandonano e li possiamo sentire vicini nelle inquietitudini di tutti i giorni ragion per cui possiamo affermare che non sono morti ma vivono ancora insieme a noi...

A condizione però che si modifichino i nostri procedimenti e che ci si abbandoni alle parole consolatorie della fede in Cristo. Nulla potranno infatti le nostre pretese di soluzione immediata e razionalistica di fronte al mistero della morte, specialmente quando offrono certezze materiali gonfie di illusioni e di chimere, giacché daranno sempre risposte frammentarie ed evasive che apporteranno consolazioni solo meschine e passeggere; aprire invece il cuore alla parola di Cristo e accettarla con fiducia abbandonandosi al semplice consenso (tale è la fede) infonde invece fiducia, ravviva la speranza e soddisfa le nostra attese, rendendo lievi le nostre ansie e attenuando il dolore della prova, specialmente se si ravviva la nostra fede nel Cristo in quanto morto e risorto che nella sua vittoria sulla morte ci darà la certezza che "chiunque vive e crede in me, anche se muore vivrà..." "Io sono la resurrezione e la vita" Cristo risorto è (San Paolo) primizia di coloro che sono morti e che continuano a seguire quindi il suo stesso destino di resurrezione e cioè non muoiono a prescindere dalla putrefazione del corpo. Associati a lui nella morte, siamo destinati con lui a risorgere e pertanto nella fede scopriamo che la morte non esiste e siamo immersi nella vita, come già anticipavano le Scritture della Sapienza (Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio) e del libro di Giobbe (Alla fine del mio corpo mortale vedrò il volto di Dio; io stesso lo vedrò...). Se la fede è "il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono", essa prova in modo definitivo che i nostri morti vivono con Cristo e ci rasserena nella speranza che essi sono ancora vivi intercedono per noi presso il Signore ecco perché non vi potrà mai essere altra consolazione privilegiata se non nell'evento Gesù Cristo e nelle parole scaturite dal suo insegnamento e se vogliamo realizzare convenienti rapporti con i nostri fratelli defunti non potremo farlo se non nella stessa comunione con Lui risorto, vale a dire nella preghiera, nella vita sacramentale, nella meditazione e poiché fede e speranza sfociano sempre nell'amore, anche ( e soprattutto) la carità verso gli atri ravviverà in noi la certezza della compagnia dei nostri defunti, che altro non desiderano da noi adesso che la nostra vita secondo Cristo, quindi appunto la dimensione dell'amore vicendevole fra di noi, nonché la solidarietà e l'apertura agli altri perché non si sprechi neppure un istante del preziosissimo "frattempo" che ci separa dalla definitiva visione di Dio, affinché possiamo giungere anche noi là dove si trovano loro e condividere tutti insieme la medesima gloria del Signore risorto.

 

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