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TESTO Ogni viso a tavola una ricchezza

don Angelo Casati   Sulla soglia

II domenica dopo la Dedicazione (Anno B) (31/10/2021)

Vangelo: Lc 14,1a.15-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1a.15-24

1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. 19Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. 22Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. 23Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

Che Gesù sia sorpreso dal vangelo ad un banchetto non dovrebbe farci molta meraviglia. Se mai la sorpresa è che abbia accolto l'invito da un fariseo. Starei per dire che lui ai banchetti ci stava bene. E che aveva in cuor suo una predilezione per i banchetti in casa di pubblicani e peccatori. Non si invitò forse in casa di Zaccheo? Poi aspramente criticato per quella tavolata con gente che non godeva certo di buona fama. E vorrei dire che i brani che raccontano i banchetti sono frequenti nel vangelo. Come frequenti - sino a far dire a qualcuno: "ancora?" - sono i brani in cui a Gesù piace evocare il regno di Dio nell'immagine di un banchetto. Vorrei anche dirvi che quando lui, Gesù, evocava il regno come banchetto non alludeva a un nome scialbo, quasi rarefatto, un convenire nei ranghi e senza eccessi.

Bel servizio faremmo al regno di Dio vestendolo di ufficialità e defraudandolo della spontaneità, dell'allegria, di una certa scompostezza che appartiene al dna del banchetto. L'aria di un banchetto vero, per dire il regno di Dio. Quel giorno era in casa a pranzo da un fariseo. Ma tanto gli stava a cuore il banchetto che poco tempo prima aveva ricordato le regole di un banchetto e, tra le altre, quella di non introdurre precedenze e di non dannarsi per conquistare i primi posti. Non deve accadere per il regno di Dio, il regno che, come sapete, ha un suo inizio di germoglio sulla terra. E allora possiamo forse capire perché l'esclamazione entusiasta dell'invitato - "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio" - bella in sé, urgeva, secondo Gesù, di qualche specificazione, di una parabola che recensisse le modalità con cui rispondere a un invito a un banchetto. E accadde - dico, secondo la parabola - che gli inviti svelassero il cuore.

Facciamo un'ipotesi, che lì per lì può sembrare una delle mie stranezze: se quelli del campo, o quelli dei buoi, o quelli da poco sposati, non avessero declinato con scuse l'invito e fossero andati, voi dite che si sarebbero veramente immersi nella felicità di quella festa con tutti o con la testa sarebbero stati altrove? L'invito svelò dove fossero i loro pensieri, dove fosse il cuore. Ci sarebbero stati, avrebbero preso il cibo, ma la testa via, il cuore lontano. E seguendo questo pensiero - senza certo confinare l'immagine del banchetto esclusivamente nell'eucaristia - vorrei per un attimo evocarla nell'orizzonte di questa immagine della tavola, che - a mio avviso, non vorrei sbagliarmi - dovrebbe essere la prevalente, se Gesù volle lasciarsi come pane, in una cena. A tavola.

E noi a spezzare il pane della parola e il pane benedetto che è lui. E accade - accade oggi - l'invito alla sua cena. Esci di casa: "Dove vai?". "Sono invitato. Vado a una cena". Vi sembra bello - ve lo chiedo, me lo chiedo - che la Messa sia stata confinata in un precetto? Il precetto della Messa. Ma l'invito a una cena si scolorisce se diventa un precetto, un dovere! Forse lo era per i primi invitati: per loro era scaduto a formalità, a "tenere dei buoni rapporti". Anche con Dio. Ma, alla fin fine, che rapporti sono? Invece no. Mi viene mostrato il pane e mi raggiunge una voce: "Beati gli invitati alle cena". Beati, altro che precetto! Essere invitati è una beatitudine. Sentire che è un suo desiderio che io prenda il suo pane. Mi desidera.

E vorrei aggiungere una riflessione: che cosa diventò - paradossalmente dietro il rifiuto dei primi - quel banchetto? Paradossalmente proprio quel rifiuto portò alla luce ciò che abitava il più profondo del cuore di Dio. Che non era desiderio di una cena, di una festa per alcuni privilegiati. Lui è uno che si inebria di gioia, se la sala è piena. E vedete da dove comincia. Disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, perché la mia casa si riempia". Quasi a dire: "Comincia da quelli che non invita nessuno". Come dicesse: "Quelli, la sentiranno come la voglio io, la sentiranno come una festa. E non come i musoni, quelli che la mettono tra le formalità da osservare".

E allora permettetemi un altro azzardo. E' scritto: "Costringeli a entrare". Oso pensare che facessero resistenza perché erano malandati in salute, vestiti da straccioni, gente da siepi, un po' come quelli che dormono sotto i ponti. Lontano le modalità richieste in un banchetto. Si scherniscono? Non si schernivano forse, secondo il passo del rotolo di Isaia, due categorie? Gli eunuchi e gli stranieri? E allora? Premi perché entrino. Ma lo vedete che cosa diventa il banchetto? Diventa una mescola. Mescola sacra. Cosa insopportabile per chi non si degna di mescolarsi o guarda, con sufficienza, come tu sei vestito, o a quale etnia o status tu appartenga, la puzza sotto il naso. La mescola sacra vede il raduno di tutti. E accade la gioia di tutti.

Ma accade, meno commentata, la gioia e la festa di Dio: questo, posso sbagliare, è un tassello dimenticato nel comune modo di pensare, molto comune negli ambienti malati di clericalismo: loro esportano il bene. La beneficenza e non la tavola. Voglio dire che si dimentica, alla conclusione di tutto, la gioia data a Dio: quegli strani improbabili invitati non sono solo fruitori di un dono, immenso, ma sono attori, portano il loro entusiasmo di vivere, non sono vasi vuoti da colmare, sono vasi vivi dello Spirito. E Dio fa festa. Dio ci guadagna. E anche noi dovremmo fare festa. E non solo, premere perché alla tavola della chiesa e dell'umanità entrino tutti, ma pensare che a tavola lo scambio è reciproco, uno scambio di presenze, di pensieri, di colori. A tavola si prende pane, si beve vino, ma ci si guarda negli occhi, a volte senza parlare.

E ogni viso - non è una esagerazione - è una ricchezza. E' la cosa più preziosa. Che fa la gioia di Dio. E' l'anima della tavola. L'anima è entrare negli occhi.

 

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