TESTO Il vero predominio
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (17/10/2021)
Vangelo: Mc 10,35-45
35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Attualissima pedagogia ci proviene dalle pagine liturgiche di questa Domenica, anche considerando il rigore del compromesso, delle raccomandazioni e delle connivenze interessate a cui si fa ricorso per raggiungere una posizione privilegiata. “Ti do il voto (o ti procuro i voti) se mi fai questo favore”; oppure “Vota per me e ti assicuro quello che desideri” sono le frasi che non di rado capita di sentire in certi ambienti in tempi di campagna elettorale. “Ti ho favorito su questo, adesso mi devi aiutare su quest'altro” e anche nella dimensione di volontariato o di servizio di pastorale parrocchiale si tende a pretendere dal parroco che “faccia quello che gli chiediamo” o che ci ottenga un privilegio o un favore, ci gratifichi maggiormente rispetto agli altri perché collaboriamo costantemente con lui, ci rendiamo sempre disponibili ed è giusto quindi che ci esalti. Tutte pretese meschine e rivelative di immaturità e di assurda pretestuosità, che tuttavia possono sempre verificarsi nel sistema dell'arrivismo e della corsa al successo, che non esclude la vita della Chiesa.
L'ipocrisia “carrieristica” di chi cerca amicizie altolocate e le coltiva con interesse onde conseguire una posizione di rilievo è stata più volte condannata da papa Francesco ed è di fatto lesiva alla nostra convivenza, come pure i favoritismi e le raccomandazioni di ferro, purtroppo esistenti nel mondo della scuola, della Chiesa e della vita sociale.
Nulla di nuovo sotto il sole, se consideriamo la vanità e l'orgoglio di due discepoli dei quali Gesù ha apprezzato la bravura, l'impegno e la solerzia, al punto da applicare loro l'epiteto di “Boenarghes, cioè “figli del tuono” (Mc 3, 7): Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo sono probabilmente fra i più zelanti e meritori fra tutti i discepoli del Signore e probabilmente per questo, in ragione della loro fedeltà e della loro abnegazione, si sentono di esigere da parte di Gesù una posizione davvero privilegiata: “Noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo... Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra...”. Noi vogliamo! Cioè noi che ti siamo sempre stati accanto ora esigiamo che... tu ci ottenga una posizione di poco inferiore a Dio.
La "destra" nell'Antico Testamento è infatti la prerogativa con cui Dio manifesta la sua potenza, sia nella creazione che nella redenzione. Con la “destra”, cioè con la sua potenza, Dio opera meraviglie; alla "destra" del Signore risplende la Regina (Salmo 44) e il Salmo 110, probabilmente composto in occasione dell'intronizzazione di un re, colloca il monarca assiso sul trono "alla destra dell'Altissimo, rivelando che egli assume una posizione quasi alla pari di quella di Dio. "Sedere alla destra del Padre" e alla sinistra vuol dire quindi essere come Dio, partecipare della sua gloria e magnificenza e questo chiedono i due fedelissimi discepoli. Non è fuori luogo osservare che in questa pagina odierna sono essi stessi a formulare la richiesta; nella versione di Matteo invece la domanda viene rivolta dalla loro madre (Mt 20, 20 - 22) ma il contenuto di ciò che si pretende non varia: si vuole una presuntuosa posizione di gloria.
Gesù, che aveva già preannunciato il suo destino di morte sacrificata, ricorda loro di non aver proprio cognizione della richiesta che gli rivolgono, di non essere forse neppure consapevoli dell'assurdità che dicono, di non aver consapevolezza che il privilegio a cui aspirano è improponibile. Come possono loro esigere qualcosa che solamente Dio può concedere nella sua libertà a chi vuole e di conseguenza con quale sfacciataggine si sostituiscono a Dio solo esprimendo questa inane richiesta?
Piuttosto, sulle orme del loro maestro, dovrebbero considerare che anch'essi dovranno bere un calice di passione e affrontare un “battesimo” spregevole e umiliante. Anche loro dovranno affrontare la persecuzione e la morte, che effettivamente Giacomo subirà in forma truculenta nel 44 d. C sotto Erode Agrippa (Cipriani). Il destino dei discepoli di Gesù è quindi quello dell'umiltà e del servizio, elementi su cui ineluttabilmente deve fondarsi qualsiasi autorità o posizione di potere. Gesù, che guarda caso è il Figlio di Dio fatto uomo indica una concezione del tutto opposta di governo o di dominio rispetto a quella a cui siamo abituati e rivendica la necessità dell'umiltà, della sottomissione e del servizio, le quali si conquistano non senza l'accoglienza delle prove e delle umiliazioni. La morte di croce sarà la massima espressione del servizio, perché configurerà Gesù come l'Agnello condotto al macello il cui deprezzamento e il cui martirio saranno inevitabili e in questo processione del dolore, della fustigazione e della morte si dischiudono umiltà e carità che diventano palesi sotto forma di opere e di attenzioni verso tutti. La felicità sta nel resto nelle cose di cui si può fare a meno anziché in quelle che si possiedono e alle quali si aspira; la vera gioia risiede nel dare e nel contentarsi piuttosto che nell'ambire con un agitarsi vano e inconcludente; il vero dominatore è colui he sperimenta l'amore e il dono di sè anche in un solo atto esercitato con vera carità.
Chiunque aspiri a posizioni elevate, chiunque si prefigga obiettivi non comuni si prepari a recare la croce sulle spalle. Essa stessa gli darà la consapevolezza che determinate ambizioni non comportano prevaricazioni sugli altri ma piuttosto la responsabilità di dover servire, donarsi con umiltà, mansuetudine e pazienza esercitate fino allo stremo. Se perfino Dio si è abbassato per mettersi al nostro servizio come potrà l'uomo adottare una logica di potere differente da quella del servire gli altri con umiltà e disinteresse?
Piuttosto che pretendere dunque che ci venga concesso “questo o quello”, occorre allora che ci adoperiamo con zelo senza riserve, lavorando con generosità e non per vile interesse, prodigandoci con impegno e diligenza verso tutti e poi... “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”(Lc 17, 10).