TESTO E i miei occhi?
don Angelo Casati Sulla soglia
VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (10/10/2021)
Vangelo: Mt 20,1-16
«1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
"Uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna". Non so se stravedo - a volte sì stravedo - ma già l'incipit della parabola mi intenerisce, mi intenerisce quel possessivo, la "sua" vigna, ripetuto più volte nel brano. Un "sua" - la sua vigna -, che non mi suona come dominio, ma come affetto. Gli era cara. Tant'è che il testo greco non dice: "usci all'alba", ma scrive: "uscì insieme all'alba, in compagnia dell'alba, quasi andassero insieme a visitarla. Forse, dico forse, era il tempo della vendemmia. Qualcuno di voi sa che fascino abbia il tempo della vendemmia in una vigna.
Non è solo tempo di fatica, come sembrano dire quelli della prima ora: "abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". Grappoli di uva, su viticci aggrappati a filiere e profumi nell'aria. Pensate l'arte di sarchiare un terreno - perché di arte si tratta - così che basti un minimo, che meno no, di terriccio per mettere a sede una barbatella. E non venga l'insulto della tempesta a sconsacrarne la bellezza. Sì, c'è la fatica. Ma possiamo forse anche guardare oltre la fatica, sorprendendoci alla storia di una vigna e agli occhi del padrone e dell'alba. Certo, uno sfruttamento degli operai romperebbe l'incanto. E a me, sembra bello pensare come il padrone della vigna non forzi i tempi dei lavoratori della prima ora, ma aggrega, aggrega altri. E così dovrebbe essere, anche oggi.
Ci inoltriamo nella parabola e nascono fili, nascono connessioni. Perché la vigna, la vite - e voi lo ricordate - nella Bibbia è figura del popolo di Dio, può diventare simbolo della umanità, simbolo di questa terra, simbolo di ognuno di noi, affidati a una cura. Il padrone della vigna ha bisogno di operai, di collaborazione. Diremmo, a non finire: dalle prime luci soffuse dell'alba sino all'imbrunire. Il popolo di Dio, l'umanità, il momento della storia che stiamo vivendo, sono affidati alle nostre cure. E non importa a che ora. Importi tu. Perché al compimento dell'opera conta che ci sia anche tu, anche se tu fossi operaio dell'ultima ora. Importi oggi. Fu così dalle origini, dall'in principio, quando ancora non esistevano diversità di etnie o di religioni, quando Dio - è scritto nel libro della Genesi - creò il terrestre.
Ed è scritto: "L'uomo domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. [...] Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra" (1,26.28). Purtroppo nella storia i verbi "soggiogare" e "dominare" hanno assunto significati distorti e brutali: il loro uso perverso ha condotto all'esito che sta sotto gli occhi di tutti. E a volte sembra che siano i ragazzi ad accorgersene e a darcene un allarmante segnale. Una vigna manipolata intristisce. Come un giardino rinchiuso.
Ne parlavo la domenica dopo Pasqua riferendomi a un commento suggestivo, con notazioni sorprendenti, attualissime, di Don Paolo Alliata a una favola di Oscar Wilde, "il Gigante egoista". Il gigante che costruisce mura a protezione del suo giardino - noi potremmo dire della vigna - destinandolo stoltamente a intristire: il suo futuro è la morte. Don Paolo commenta: "L'istinto vitale, di possedere la vita subito tutta nell'arco di un'ora. Oppure, come nel giardino del Gigante, di contenerla tutta nello spazio di un recinto. Possedere in fretta, perché di doman non v'è certezza; trattenere per una cerchia ristretta di vicini, perché al di là del muro non c'è da fidarsi. Quella furia egoista e frettolosa fa ammalare. Non è vita. È solo la soffocante ansia di non morire". Un gelido cuore.
So di aver sconfinato, in eccesso. O forse non così lontano, se abbiamo intravvisto - e voi lo avete intravvisto - il cuore della parabola. Il cuore della parabola, che racconta il malcontento di quelli della prima ora, sta nelle parole del padrone della vigna. Eccole: "Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Meglio, stando al testo greco: "Oppure hai un occhio malvagio, perché io sono buono?". E' una questione di occhi, ce lo siamo detti molte volte, dipende dallo sguardo. E sconcertante a farla da padrone sono in questo caso gli operai, quelli della prima ora, hanno un cuore gelido, uno sguardo miope. Che non va al di là dei conti e soprattutto di se stessi. Occhio gelido. Al contrario non la fa da padrone, il padrone della vigna. Che non calcola a suo vantaggio e potrebbe! Come se si preoccupasse di che cosa vivrebbero quelli dell'ultima ora. Occhio buono.
Non è, voi mi capite, la benedizione della neghittosità, sarebbe aberrante interpretazione. Lui ha uno sguardo che va oltre il fatto puramente economico. C'è di mezzo una vita, e altre vite dietro di ognuno. Benedetta attenzione, sguardo che vede oltre. Non so perché, forse perché si parla di operai e di sera, mi è ritornato alla mente un passaggio del libro del Deuteronomio, capitolo 24. Due versi che sottendono una delicatezza estrema. Vorrei leggerveli: "Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato (14-15).
Se il salariato è povero - dice il testo - la sera stessa deve ricevere lo stipendio. Avviene la rivoluzione dei nostri tempi: per alcuni la scadenza della paga può anche avere il ritmo dei quindici giorni o del mese, ma ci può essere qualcuno che non resiste a campare, non vive nel ritmo dei quindici giorni o del mese. L'attenzione dovrebbe essere al ritmo delle persone. Dovremmo ricordarlo. Occhio malvagio, occhio buono. E che cosa accade se l'occhio è attento, sensibile e buono? Non la malvagità o l'indifferenza. Ma la cura e la custodia. Sempre nel racconto della creazione, leggiamo un versetto imperdibile: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (2,15).
A proposito di vigna e di giardini, di donne e di uomini, di terra... i tuoi occhi attenti e buoni, coltivare e custodire.