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TESTO Commento su Marco 9,30-37

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/09/2021)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

I suoi discepoli ancora non riescono a capire e per loro resta solo un annunzio di morte. Essi avevano paura ad interrogarlo. A questo punto inizia un discorso che durerà fino al v. 50 dove Gesù tocca dei punti fondamentali per la vita spirituale e comunitaria. Oggi vediamo il suo primo insegnamento.
Mentre Gesù annuncia la sua prossima passione, i discepoli parlano tra loro. Di cosa? Di chi fosse tra loro il migliore! Chi presiede? Chi comanda? Chi è il più grande tra noi? Questa domanda ce la portiamo dentro sin da piccoli, specie se siamo cresciuti in un contesto dove ti sentivi amato se eri bravo. Quanti vivono anche la fede come prestazioni per sentirsi a posto, davanti a Dio, e il servizio nella Chiesa come carriera. E se il riconoscimento non arriva? Ci restano male! Tendiamo così a guardare gli altri di storto, temendo ci possano soffiare il posto, elaboriamo stratagemmi, intessiamo alleanze per non sfigurare, pensando - e sperando - che i più grandi possiamo essere davvero noi... fino a quando la realtà ci dice che non è così. E allora: facciamo finta non ci interessi, fingiamo, diventiamo arrabbiati, frustrati... l'invidia comincia a roderci, dicendo a noi stessi che è stata solo una questione di fortuna. L'altro diventa un nemico e lo stomaco ci rode! E così per non deludere nessuno a chi vien tolto un incarico ne vien dato un altro - sacerdoti e vescovi compresi -, alimentando il gioco dell'ego. Di questo parlavano, non con Gesù e non alla sua luce. Un po' come accade oggi: si chiacchiera alle spalle, senza affrontare le cose... Perciò quando Gesù li interrogò tacevano: sapevano di non essere sulla sua stessa lunghezza d'onda. Gesù parla loro direttamente, sapendo bene l'importanza del tema, soprattutto per chi è posto alla guida e rischia di viverla come prestigio personale. L'immagine di Gesù che siede e chiama i suoi attorno a sé è solenne. Indica la sua coscienza di essere il Maestro. E insegna: «se qualcuno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». Primo/ultimo è il capovolgimento dei nostri valori, purtroppo spesso ancor poco recepito nella Chiesa. Primo = servo: Gesù ci insegna la vera scala dei valori. Ci insegna a cercare gli altri, andando incontro loro per servirli, facendoci prossimi. Il servizio ha come metro la capacità di dare la vita. Il servizio è il criterio - per Dio - della vera grandezza. Chi serve più di tutti è primo in senso assoluto. E lo è soprattutto quando si servono i piccoli, i poveri, gli ultimi. Gesù prese tra loro un bambino e lo abbracciò. Il bambino non aveva posto in quella società, era considerato “un mezz'uomo”, senza diritti e senza valore. Non contava, lo si poteva trascurare: non aveva il diritto di farsi sentire e di fronte alla Torah, alla legge, non aveva meriti. Gesù accogliendolo con tenerezza ci rivela qualcosa di Dio. La bella notizia è che il regno di Dio è dato gratuitamente a chi è trascurato, senza far conto dei suoi meriti.
Allargando il campo, il termine paidion potrebbe riferirsi anche a tutti coloro che vertono in una situazione di debolezza fisica o psicologica. Sono “i piccoli”, coloro che hanno più bisogno delle attenzioni dei responsabili della comunità. È l'insegnamento che ne scaturisce è molto profondo: Gesù si identifica con i piccoli e dice: «chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me. E chi accoglie me... accoglie colui che mi ha mandato».
Gesù ci invita a cambiare sguardo. Piuttosto che vedere l'altro come nemico, scoprire nel piccolo il suo bisogno di essere abbracciato e, ivi nascosto, la presenza del Signore. Ogni persona, ogni avversario porta dentro, in fondo, la fragilità di un bambino. Se la smettessimo di gareggiare per essere meglio degli altri, e iniziassimo a servire di più gli altri, staremmo tutti meglio! Dove accogliamo Cristo? Nell'altro, nella fragilità dell'altro. Se lo capiremo, con la grazia di Dio potremo smetterla di vedere negli altri degli avversari e riconoscervi il volto di un fratello, di una sorella. E impareremo ad essere “grandi”, ma sul serio!

 

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