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TESTO Una goccia di rugiada

don Angelo Casati   Sulla soglia

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Domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (29/08/2021)

Vangelo: Mt 10,28-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,28-42

28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

34Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. 35Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; 36e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.

37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Leggevo le parole di Gesù. Era come se srotolassero veloci, una sull'altra. Troppo veloci, forse, per uno come me, fatto lento dagli anni. Mi è venuto da immaginare che la fretta delle parole fosse per passione, come fossero portate da un impeto, il suo. Confesso che l'avrei trattenuto. No, una sull'altra. E poi, alcune di esse, scorza dura. Forse anche voi avete provato una sorta di straniamento. Tenere e scorza dura. Parole tenere: un Dio che si prende cura dei tuoi capelli, si prende cura dei passeri dell'aria. E poi: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare "l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera"; e "nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa". "Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me".

Le parole, queste ultime, vi confesso, le ascoltavo mentre cercavo di immaginare i suoi occhi, di ripercorrere la sua vita: Gesù non era certo di quelli che non li muove ombra di sentimento o di quelli che, premendo su uno "spirituale" disincarnato, finiscono per sottacere la bellezza della relazione, dell'amore, dell'amicizia. Forse il segreto per capire - per un limitato capire - sta in quel "più". Che suona come l'allarme di una vedetta in vista di un pericolo. Noi a lui, a Gesù, siamo cari, troppo cari, per non metterci in guardia: gli sono cari persino i capelli del nostro capo. Ebbene amare qualcuno più di lui, più di lui che è l'assoluto della bellezza e dell'umanità, significherebbe dare la patente di assoluto ad altro, in parole più semplici stare in adorazione, inginocchiarci all'altro.

E allora è sequestro, non è amore, è sequestro. La famiglia, anche le persone più care, possono diventare non sorgente di libertà, ma occasioni di sequestro. E allora perdi in vita. Pure lui, Gesù - e aveva una famiglia che più bella non si può - un giorno era sfuggito al pericolo. Lo raccontano i vangeli in un passo, in verità, un po' sottaciuto. Leggo, dal vangelo di Marco: "Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: "È fuori di sé". Giunsero sua madre e i suoi fratelli e stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano" (Mc 3,20-21.31-32). Non uscì. Quasi subodorasse in qualche misura un'ombra di sequestro.

Non è così ovvio che i nostri rapporti interpersonali, famigliari, sociali, ecclesiali siano senz'ombra alcuna di sequestro: si proclama amore e si genera una sottile pervasiva soffocante dipendenza, un mascherato - a volte invisibile - dominio. Ci si dice amore, ma poi l'altro, l'altra è cosa tua, ne disponi negandole il diritto ad uscire, di fare altri sogni, di andare verso una pagina non ancora scritta. L'altro, l'altra, gli altri, poco o tanto, inginocchiati. Per Gesù la folla non è inginocchiata, ma "seduta intorno". Ebbene a quella folla, seduta intorno, andava la sua precedenza, una precedenza che andava salvaguardata. Andava preservata la dimensione dell'accoglienza. Non stava forse in quell'immagine il regno di Dio, per cui era venuto, l'inizio di quel regno?

Ebbene lui nei rapporti sospendeva il dominio, dava vento alla relazione. Gli occhi della folla che si era radunata in quella casa erano su di lui, in lui avevano colto con immediatezza una accoglienza senza "se" e senza "ma", accolti così com'erano, senza precedenze, titoli o quant'altro. Quel rabbi era lo splendore dell'accoglienza. E c'è, imperdibile - vorrei sottolinearlo - nel nostro brano un versetto, l'ultimo, imperdibile nel suo incipit: "Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre". "Girando lo sguardo", li fissava uno ad uno e li rendeva importanti, importanti ai suoi occhi e agli occhi di tutti.

Questo è accogliere, prima di tutto: volgere lo sguardo, ospitare negli occhi. E insieme allo sguardo mi colpiva lo sbucare del verbo "accogliere", ben sei volte in poche righe nel nostro brano. Fino a ricordarci poi che accogliere è anche impasto di piccole cose, anche un bicchiere di acqua fresca. E si può. Ovunque Mi è ritornato alla mente un passaggio di una lettera di una piccola sorella di Gesù che, dopo dodici anni, lasciava il suo lavoro di pulizie in un ospedale. La lettera è un tesoro. Vale più della mia omelia. "Ripensando a questi anni" scrive "credo che una delle gioie più grandi sia stata proprio il condividere insieme alle colleghe/i il lavoro e anche la nostra vita; sostenendoci a vicenda nelle sfide di ogni giorno.

Il tempo ha favorito la fiducia reciproca e la profondità di alcune amicizie. Una di queste amicizie è nata proprio quando, in un momento molto difficile nella relazione con alcuni capi, incontrandoci nell'ascensore all'inizio o alla fine dalla giornata, raccoglievamo le nostre lacrime a vicenda... Un altro motivo per dire grazie è stata la ricchezza di lavorare con persone di età e Paesi diversi: un esercizio continuo di apertura alla nostra diversità e alla nostra comune umanità! In particolare, ultimamente, ho frequentato persone dell'America del Sud.

Da loro ho imparato il coraggio di portare la durezza della vita con dignità, creatività e umorismo. Rocio, giovane donna ecuadoriana, è stata molte volte la "mia goccia di Rugiada", questo significa infatti il suo nome. Sono certa che è tra quelle persone di cui Gesù dice: "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca... non perderà la sua ricompensa". Rocio ha il dono di farti vedere il lato buono delle cose, di mettere un pizzico di umorismo nelle situazioni negative, di ascoltare con discrezione una confidenza o un peso".

Il bicchiere d'acqua fresca del vangelo, la goccia di rugiada di Rocio.

 

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