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TESTO La prossimità divina e le nostre resistenze

diac. Vito Calella

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/08/2021)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

La prossimità divina nelle ore difficili della vita

Non siamo noi ad andare incontro al Padre unito al Figlio nello Spirito Santo.
È il contrario.

Tutta la storia della salvezza è culminata nel mistero dell'incarnazione del «Verbo fatto carne» (Gv 1,14), soprattutto nell'evento unico e definitivo della morte, sepoltura e risurrezione del Figlio del Padre.

Pensare a questa storia di salvezza è contemplare l'approssimarsi appassionato di Dio nei nostri confronti, soprattutto quando stiamo attraversando situazioni particolarmente difficili della nostra esistenza.

Il profeta Elia era rimasto solo e abbandonato da tutti, pur avendo agito con zelo nel nome di JHWH. Nel deserto voleva farla finita con la sua vita, lasciandosi andare al sonno della morte sotto l'ombra di una ginestra, sfinito dal viaggio, affamato ed assetato. Nell'ora più difficile, quando tutto sembrava essere stato inutile, interveniva l'intermediazione dell'inviato divino a donare una focaccia e dell'acqua, sufficienti per completare il lungo cammino di quaranta giorni e quaranta notti nel deserto fino a raggiungere il monte Oreb, dove sarebbe avvenuto l'incontro con Dio, percepito nella brezza lieve del silenzio.

L'espressione «quaranta giorni» indica simbolicamente la totalità del cammino esistenziale della vita, finalizzato all'esperienza viva e vera della comunione con Dio.

L'angelo che dona ad Elia una focaccia e un orcio d'acqua, sufficienti per tutto l'arco del viaggio, è un'azione che per noi cristiani diventa l'immagine simbolica della rivelazione, offertaci da Gesù, dell'esserci trinitario del Padre unito al Figlio nello Spirito Santo come compagnia sicura nel nostro viaggio terreno. L'angelo può essere la prefigurazione stessa del Padre che ci ha fatto dono del Figlio, il «pane vero della vita disceso dal cielo». Nella voce dell'angelo che per due volte ordina ad Elia dicendo «Alzati e mangia!» possiamo contemplare l'invito ad assumere liberamente con tutto noi stessi la missione del Figlio che è per ciascuno di noi, ora, «il pane vivo, disceso dal cielo». Accogliamo questo “esserci” del Padre per mezzo del Figlio lasciandoci attrarre dalle parole pronunciate de Gesù: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Il dono dell'orcio di acqua, che accompagna quello della focaccia, ci rimanda alla presenza viva dello Spirito Santo in noi e all'esortazione dell'apostolo Paolo, oggi ascoltata: «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione» (Ef 4,30). L'acqua è un simbolo bellissimo dello Spirito Santo!
Due resistenze al farsi prossimo di Dio nei nostri confronti

Il sonno persistente di Elia, di fronte al dono già dato dell'unica focaccia e dell'orcio di acqua, può rappresentare per ciascuno di noi sia la resistenza a riconoscere la centralità di Cristo «pane della vita» che sazia la nostra fame di comunione eterna, sia la resistenza a lasciare agire in noi lo Spirito Santo, affinché il Cristo risuscitato possa realizzare il regno del Padre nel contesto dell'umanità e dell'opera della creazione, mediante la nostra corporeità vivente, consegnata alla missione di essere “corpo di Cristo” nella tessitura delle nostre relazioni.
Via la resistenza della mormorazione dei Giudei

La prima resistenza da rimuovere per far spazio alla centralità di Cristo nella nostra vita è «la mormorazione dei Giudei», segnale di uno sguardo troppo ristretto nei confronti di Gesù. I Giudei non riuscivano a vedere in lui l'inviato del Padre disceso dal cielo, il Figlio di Dio, cioè il Verbo divino che aveva assunto la nostra natura umana. Il loro sguardo si limitava a quello del figlio del carpentiere Giuseppe e della madre Maria, abitanti dell'insignificante villaggio di Nazaret. Il mistero dell'incarnazione costituiva un vero e proprio scandalo, era una bestemmia! Per questo motivo, nel processo davanti al Sinedrio, Gesù fu condannato a morte.

Per tanta gente Gesù ancora oggi viene considerato un grande personaggio, da associare ad altre figure significative apparse nella storia dell'umanità: niente di più. Molta gente oggi non si interroga sulla sua natura divina e sul significato della sua missione nel mondo. L'evento della sua morte e risurrezione non ha ancora convertito e trasfigurato la vita di tantissime persone, anche in coloro che sono approdate al cristianesimo mediante il dono dei sacramenti dell'iniziazione cristiana. L'eucaristia è l'esperienza che dovrebbe diventare culmine e fonte dell'esistenza, invece per molti cristiani superficiali è soltanto un rito di tradizione che non dà la consapevolezza della responsabilità individuale e collettiva di essere “corpo di Cristo” nel mondo. Il Cristo risuscitato, alla luce di quanto ascoltato nel vangelo di oggi, ci sprona a liberarci da questa visione ristretta di Lui, espressa concretamente nella mormorazione dei Giudei. Egli sembra dire a ciascuno di noi «La mia eterna relazione di comunione con il Padre ora tu la puoi sperimentare se ti lasci attrarre dal dono gratuito della nuova ed eterna alleanza che il Padre mio ha voluto realizzare una volta per tutte con te e con l'umanità intera, avendomi inviato come agnello che toglie il peccato del mondo. Lasciati attrarre dal significato più profondo del mio essere stato crocifisso e risuscitato dalla morte per te e per la tua salvezza». Una volta attratti dal progetto di nuova ed eterna alleanza con noi del Padre unito al Figlio nello Spirito Santo, possiamo sperimentare la stessa comunione nelle nostre relazioni umane perché siamo chiamati a divenire “corpo di Cristo” nelle strade del mondo.
Via la resistenza del nostro egoismo umano

La responsabilità di essere il “corpo di Cristo” nel mondo richiede la nostra vigilanza per non ricadere nelle resistenze del nostro egoismo, che tendono a spezzare i legami belli e autentici di comunione tra noi a causa di «ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità», sempre in agguato alla porta dal nostro “Io”. Il vincolo di comunione tra noi, che ci rende “corpo di Cristo” nel mondo è la fonte d'acqua viva in noi che scopriamo nel dono pasquale dello Spirito Santo, già prefigurata nell'unico orcio d'acqua che sostenne, insieme all'unica focaccia, il cammino del profeta Elia. Noi vogliamo rinnovare la nostra scelta a «camminare nella carità, cercando di essere benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandoci a vicenda come Dio ci ha perdonato in Cristo».

Se siamo veramente stati attratti dalla proposta di gratuita di nuova ed eterna alleanza del Padre, vogliamo «farci imitatori di Dio, quali figli amati del Padre nel Figlio Gesù, che ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore».

 

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