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TESTO Il cesto che non ti aspetti

don Mario Simula   ufficio catechistico diocesi di Sassari

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XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (25/07/2021)

Vangelo: Gv 6,1-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Cinque pani e due pesci sono il prezioso tesoro nascosto nel cestino di un ragazzo confuso in mezzo alla folla. E' tutta la giornata che segue Gesù. Non vuole perdere un attimo dell'incontro gioioso col Maestro.
Gesù è presso il mare di Tiberiade. Una grande folla, assetata di verità, di conforto, di segni lo circonda.
Sale sul monte e siede con i dodici. E' il capofamiglia che imbandisce la mensa per i suoi figli.
Ci fa pensare alla carica di amore che nutre i pasti delle case, quando si radunano tutti, per condividere insieme il cibo, ma anche le storie della giornata, le difficoltà e le gioie semplici.
Gesù “vede” la moltitudine della gente. Si accorge della loro gioia nel seguirlo. Misura la carica del loro amore. “Vedere” è il primo passo del donare. Se vedo i volti di un'assemblea della domenica. Se vedo i ragazzi che giocano per strada. Se vedo gruppetti ambigui di adolescenti che si occultano per nascondere le loro trasgressioni, sono pronto a donare senza misura. Si fa strada in me la com-passione che confina con le gioie e i dolori condivisi. Anche se appartengono ad altri. Gesù “vede” tutti.
Nessuno è per lui anonimo o estraneo.

Proprio perché i suoi occhi vedono “la molta folla che beve la sua parola”, vuole mettere alla prova la fede di Filippo: “Dove potremo comprare del pane per sfamare questa moltitudine?”.
Noi, come Filippo, avremmo fatto “un giro di conti”. Avremmo concluso che, con le poche offerte, non avremmo potuto sfamare tanta gente. Noi, come Filippo, avremmo rivelato una mancanza di visione, di sguardo lungimirante, di fede in Gesù “consapevole di quello che stava per compiere”.
Avremmo subito messo a tacere la provocazione del Signore.
Riunioni infinite per cercare i metodi e i mezzi. Nessun momento per scrutare il cuore del Maestro. Per dire, come Abramo, “Dio provvede” anche se non vedeva segnali o luci o prospettive di intervento dall'alto.
Quanto soffre il mio cuore quando i “miei” conti non tornano. Penso campi sterminati di bene, ed ecco solitudine e silenzio. Mi immagino frutti copiosi e raccolgo stagioni magre.
Andrea, prudente, schiva la domanda di Gesù. Affida a qualcun altro la soluzione: “C'è un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci”. Non lo dice come chi sa vedere oltre. Come chi vende tutto per acquistare il campo che custodisce la perla della fede in Gesù. Il suo è un gioco di deresponsabilizzazione. Fatto senza convinzione, tanto che aggiunge: “Ma cos'è questo per tanta gente?”.
La compassione inesauribile di Gesù non appartiene ancora né al cuore, né alla mentalità dei dodici.
La “certezza” della fede è dura. E' faticosa la resa alla potenza di Dio.
Ci sembra uno smacco riconoscere che sia Gesù stesso a distribuire il pane del quale ha bisogno la gente. Soprattutto il pane di vita del quale tutti abbiamo fame e bisogno inestinguibile.
Davanti alla mia e alla nostra ostinazione di adulti che rimangono spesso avvinghiati ad una visione pagana, materialista, monetaria della vita e dei problemi, Gesù decide di affidare il segno meraviglioso del pane da distribuire a tutti, alla semplicità di un ragazzo pieno di sorriso, che ha scoperto di essere utile al Maestro. Non conta nulla in mezzo alla folla. Per Gesù è la chiave di volta.
Vedendo il cesto frugale con cinque pani e due pesci, Gesù può porre tutti i gesti dell'accoglienza. Apre la strada di una convivialità semplice e solidale.
“Fateli sedere”. E' sera. Fra poco non ci sarà più fretta. L'amore non è mai frettoloso. Per manifestarsi cerca di far stare bene coloro che ama.
Chi ama come sa amare Gesù, ama bene, con delicatezza, cercando il bene della persona amata.

La felicità di quel ragazzo che si sente scelto dal Signore come collaboratore dell'amore, è l'icona più luminosa dell'amore bello.
Gesù prende i pani. I pani del cesto prezioso. I pani che si moltiplicano tra le mani della tenerezza.
“Rende grazie”. Nel suo rendimento di grazie Gesù si rivolge al Padre dei semplici e degli umili, di chi offre tutto quello che ha, con gioia.
Sono uno dei cinquemila che ricevono pane in abbondanza. Vedo la gente felice, non soltanto perché può mangiare qualcosa. La gente è felice perché mangia il pane che viene dalle mani del cielo. Il pane della Provvidenza e della benevolenza di Dio.
Vedo la gioia di quel ragazzo orgoglioso del dono fatto a Gesù. Simile al dono della vedova che sfama Elia e della vecchia povera che mette dentro il tesoro del tempio l'unico soldo che le rimane. Tutto quello che ha.
Filippo e Andrea, alla richiesta di Gesù, riescono a pensare esclusivamente ad un amore che si “compra”. Ad un amore quantificato in denaro. Il ragazzo sa offrire soltanto un amore gratuito.
Gesù può contare su di lui. Dal gesto di una generosità semplice e immediata, scaturisce il segno della distribuzione dei pani e dei pesci. Gesù è il donatore sovrabbondante. Tutti mangino finché ne avranno bisogno. Fino a sazietà. Ne rimarrà anche una quantità notevole.
Il dono di Dio è sempre oltre la misura. Perché è gratuito.
Come è gratuito il cuore del ragazzo che sa offrire un amore senza ricompense, senza senso di privazione, con gioia, con immediatezza.
Paolo esorta le nostre comunità ad offrire un altro pane: il pane della comunione vissuta con “ogni umiltà, dolcezza e magnanimità. Fermentata di accoglienza reciproca, di vincoli di unità e di pace.
Noi siamo infatti un solo corpo e un solo spirito, con la medesima speranza. Noi condividiamo un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.
La fraternità autentica rende vera anche la carità di tutti i giorni e verso tutti. Rende vero e prezioso per noi il Pane eucaristico che Gesù distribuisce a piene mani per i viandanti della fede.

Gesù, nel mio cesto non trovi cinque pani d'orzo e due pesci.
Trovi la tua Parola energica e soave unita alle mie parole povere, spesso inquinate e troppo umane.
Trovi le mie povere mani unte di grazia e di peccato; molto diverse dalle mani innocenti e generose del ragazzo che ti offre il suo pasto frugale, infinitamente prezioso ai tuoi occhi.
Quel pane, Gesù, è la materia prima perché tu possa compiere il “segno”.
Delle mie sicurezze, dei miei mezzi ostentati non sai che fartene. Sono stratagemmi venali, fatti di cifre e di conti che quadrano, “senza mai sforare”.
Tu, Gesù, sai cosa significa un conto che non sfora? No lo sai certamente.
Dal tuo Vangelo imparo ogni giorno vino che trabocca, pane che avanza, eucarestia che non chiede il lasciapassare. Tu, Gesù, vuoi che sia io a coltivare un cuore buono e umile, quando prendo dalle tue mani quel Pane che ha il profumo dell'immortalità.
Gesù, se tu trovassi nelle nostre chiese ceste di vite donate, di storie faticose ma vere, di preti poveri e generosi, diventerebbero luoghi dissetanti di amore. Risponderebbero alla fame che attraversa l'umanità: quella che striscia per terra piegata dalla miseria e quella che vomita illusioni per l'opulenza.
Gesù, adesso sono soltanto io davanti a te. Ho distribuito “tanto pane”. Molto pane, passato attraverso le mie mani si è ammuffito, mentre qualcuno ne implorava una briciola. Tanto pane si è indurito ed è diventato cibo di scarto da dare agli animali.
Gesù, oggi ho mani stanche, indolenzite. Ho tuttavia mani che possono donare, che possono confortare, che possono curare, che possono parlare le parole della tenerezza.
Ricordi, Gesù, il canto che insegnavo tanti anni fa? Diceva così: “Stasera sono a mani vuote, o Dio.
Niente ti posso regalare, o Dio (pensa che pretesa: volerti regalare qualcosa!). Solo l'amarezza, solo il mio peccato, o Dio”. (Un po' di saggezza l'avevo anche allora, Gesù).
Gesù, sono questi i miei poveri doni di oggi. Insieme alla speranza e alla certezza del tuo perdono, Gesù.

 

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