TESTO Tu sarai debolezza
don Mario Simula ufficio catechistico diocesi di Sassari
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (11/07/2021)
Vangelo: Mc 6,7-13
7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
E' facile “svendere” la Parola di Dio. Avviene quando non vogliamo che scomodi alcun potere costituito, quando la pieghiamo ai nostri scopi, quando la annunciamo annacquata, rendendola irriconoscibile e inefficace. Il sacerdote Amasia vuole mettere il bavaglio al profeta Amos, impedendogli di portare la Parola di Dio nel tempio del re. Le sue parole starebbero molto strette al potere. Sono parole destabilizzanti. Lame affilate, a doppio taglio, che hanno la forza di attraversare le midolla, la mente, i sentimenti, le intenzioni recondite, le false motivazioni dell'agire.
Sono parole che, come l'acqua che scende dal cielo, non tornano indietro senza avere irrigato la terra.
Possiamo chiudere il cuore alla loro efficacia. Non possiamo ignorarle. Sempre ci tormentano e sempre ci chiedono un rinnovamento.
Capita anche a noi quando ci imbattiamo nel messaggio che viene da Dio.
Essendo un messaggio che ci sferza e mette a nudo ogni esperienza ambigua o compromette il nostro quieto vivere, tendiamo ad ignorarlo. Fino a quando?
Il profeta Amos non porta una parola sua. E' un semplice pecoraio e un intagliatore di sicomori. Le sue mani sono callose e intrise di odori che non piacciono.
Non sono mani di amanuensi che trattano il libro con “competenza e cura”.
Amos vive la condizione del povero insignificante. Si sente cercato da Dio, non funzionario-burocrate al servizio di un “sistema”. E' misteriosamente coinvolto in un'avventura che lo supera.
Amasia, sacerdote, è dirigente del “sacro”, tenuto a libro paga dal re. Non si preoccupa del prezzo che deve sborsare in termini di insignificanza, di servilismo, di pigrizia. Ciò che lo preoccupa, per rimanere a galla, è che siano rigorosamente insonorizzati gli effetti benefici e liberanti di una Parola che può scatenare venti di ribellione al potere.
Amos, al contrario, è un uomo semplice. Povero. Che Dio chiama ad un'avventura aspra, ad una contestazione di un potere corrotto e dei suoi scandali e delle sue inguaribili corruzioni.
Amos annuncia una parola non sua. All'origine della sua predicazione c'è la chiamata di Dio, forte e irresistibile, radicale e tagliente. Non deve fare carriera e nemmeno affari. Deve soltanto obbedire al fuoco che Dio gli ha messo nell'anima. E' un “afferrato di Dio” che si sente dire: “Va'. Profetizza al mio popolo!”.
Anche Paolo, nella solenne benedizione che avvia la lettera ai cristiani di Efeso, ci ricorda che nessuno di noi è un chiamato per caso.
Nel cuore della vocazione di ciascuno c'è lo sguardo amoroso del Padre che, ancora prima della creazione del mondo, ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi. Ci ha fatto sperimentare la predilezione del suo amore. Chi lo comprende risponde con l'amore, accettando di essere inviato a coloro che ancora non fanno l'esperienza della tenerezza di Dio.
Nella storia di Paolo sono presenti due testi che suggeriscono al nostro cuore la profondità della sua rivoluzione interiore. Al momento della conversione, l'apostolo pone, sulla strada di Damasco, una domanda: “Chi sei tu, Signore?”.
“Io sono Gesù che tu perseguiti!”. Gesù insegue il suo apostolo. Lo bracca come fa un segugio con la preda.
La seconda parola di Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”. Per Paolo, dopo l'incontro con Gesù risorto, predicare il Vangelo non è un vanto. E' un dovere. Guai se non lo facesse! E' una necessità. Non può farne a meno. Non può fare diversamente. Guai se non rispondesse!
Io stesso, nel mio limite, non sono un evangelizzatore per caso. Sono evangelizzatore perché Gesù mi ha scelto e mi ha inviato, chiamandomi per nome e indicandomi la destinazione: la folla smarrita come pecore senza pastore. Il mondo.
La parola è venuta in mezzo a noi saporita e vitale. La Parola scende sempre dal cielo. La Parola ha il terreno pronto nel cuore della gente. Ci vuole chi la annunci. Ci vuole chi vada per annunciare. Ci vuole chi, andando, porti non soltanto “suoni”, ma consistenza di vita evangelica vissuta con dolore e con gioia.
E' un tormento seguire Gesù che incalza la mia vita. Lo posso dire per esperienza.
E' una fatica che ti scava e ti spezza. Ti chiede tutto l'impegno a far arrivare la parola.
E' un interminabile tirocinio seguire “Gesù che parla col Vangelo alla mia vita” modellandola, cambiandola perché io diventi una cosa sola col Vangelo, col Verbo che si fa carne e si impossessa di me.
Il mandato agli apostoli da parte di Gesù è un vero codice di vita per chi evangelizza.
Gesù soltanto chiama. Nessun altro. E incomincia a mandarci. Chiedendoci di rispondere con gioia.
Gesù ci manda a due a due. Come testimoni che condividendo la stessa fede, imparano a portare insieme la fatica quotidiana del Vangelo.
Gesù ci manda dandoci potere sugli spiriti immondi. Perché noi li combattiamo nella nostra vita e aiutiamo gli altri a lottare contro il maligno.
Gesù ci manda senza cercare garanzie umane: risorse, denaro, potere, addentellati potenti, zavorre di dominio o di mezzi. Solamente accompagnati dalla sua forza.
Gesù ci manda per vivere con tutti l'esperienza della prossimità attraverso l'ospitalità accolta senza pretese o, se rifiutata, senza creare distanze umane. Occorre sempre lasciare spiragli di incontro.
Gesù ci manda per predicare la conversione e portare la guarigione. Prendendosi cura della persona.
Uno stile, una spiritualità, un rapporto, un dialogo speciale e su misura.
Gesù ci fa vivere questo dono. Ci domanda di custodirlo con una vigilanza semplice e perseverante.
Il profeta e l'apostolo sono luce e lievito.
Gesù, se penso alla mia vita comprendo di essere una persona “graziata” dal tuo amore. Cosa hai trovato in me, nella mia fragilità mortale, nella mia debolezza inguaribile, nella mia adesione, sempre titubante, al tuo amore da commuoverti e scegliermi? Mi sento una creatura amata e scelta, Signore Gesù. Da sempre. Da quando non esisteva nulla di ciò che esiste.
Io, Gesù, ero già nei tuoi pensieri, nel tuo cuore, nella tua storia. Come un chiodo fisso. Come un tormento. Come un'attesa. Ero la tua attesa. E tu eri la proposta per me. Stavi alla mia porta e bussavi.
Volevi entrare. Dovevi entrare, per dirmi: “Vieni ho un progetto su di te. Non dirmi che non sai parlare perché sei balbuziente. Non dirmi che hai le labbra impure. Non dirmi che non mi conosci a tal punto da non potermi raccontare. Non dirmi di allontanarmi, perché sei peccatore. Non dirmi che è troppo difficile ogni risposta a Te. Queste tue debolezze le conosco tutte. Conosco tanti tuoi limiti.
Sfuggono anche a te. Ma non sono nascosti ai miei occhi e al mio amore. Sto alla porta e busso.
Mi servi tu. Proprio tu. Come sei. Mi basta la tua riposta”.
Eccomi, Gesù, manda me.
E' inutile recalcitrare davanti alla tua chiamata. E' sufficiente che io abbia l'attitudine a lasciarmi ogni giorno “fare da Te”, Gesù.
Vengo senza bisaccia, né calzari. Senza denari e senza soluzioni prefabbricate. Senza intuizioni brillanti. Vengo con tutta la mia precarietà. Metto a tua disposizione i doni che Tu hai messo nelle mie mani.
Gesù, li voglio riconoscere. Li voglio donare con gratuità. Li voglio far camminare con umiltà.
Soprattutto, Gesù, metti sulle mie labbra la Parola vera, più forte della morte. Irresistibile come l'amore.
Gesù, tu non mi chiedi altro se non di guardare continuamente il tuo volto per non essere più io a vivere, ma Tu vita in me.