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TESTO La fede affettuosa

don Luca Garbinetto   Pia Società San Gaetano

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/07/2021)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,1-6

1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Lo stupore, l'opposizione, il rifiuto scandalizzato: sono i passaggi degli atteggiamenti degli abitanti di Nazareth verso Gesù.
Sono anche i passaggi emblematici di una dinamica purtroppo frequente nelle relazioni di ogni giorno. Soprattutto quando queste relazioni implicano un cambio di prospettiva ed esigono un mutamento di orizzonte. Sarebbe la definizione migliore del fenomeno della conversione: non tanto cambiare comportamenti esteriori, per compiacere a una legge o norma imposta, ma accogliere un punto di vista nuovo, radicalmente ‘altro' rispetto ai punti di riferimento finora assunti come dogmi impliciti e substrato alle proprie idee e scelte.
I compaesani di Gesù non ce la fanno. Lo conoscevano già bene, ne avevano ascoltato i discorsi con euforia e forse con il pizzico di vanto di chi si sente un po' proprietario del talento di un proprio conterraneo. Ora, però, l'insegnamento e lo stile del Maestro cominciano a cozzare con le categorie che regolano la prassi sociale e religiosa del paese. La patria di Gesù, Nazareth, il piccolo villaggio della Galilea, nell'epilogo della predicazione pubblica del figlio di Maria (figlio di donna, quindi, e non di padre: espressione spregiativa per la cultura ebraica!), anticipa la sorte del rapporto tra il Messia e l'intero popolo di Israele. Dopo l'entusiasmo iniziale, inizieranno le incomprensioni, e infine l'ostilità e lo scontro. Sarà lo stesso popolo a cui appartiene, saranno i suoi consanguinei a perseguitarlo e ad ucciderlo!

Non che valga proprio alla lettera, il detto “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria” (v. 4).
In realtà, Gesù viene maltrattato anche dai romani e dai pagani (si pensi al popolo di Gerasa che lo invita ad andarsene dalla propria terra perché la sua presenza rischia di rovinare... il commercio dei porci! - cfr. Mc 5,17). Ed anche i cristiani conosceranno sempre la dura avversione di uomini e donne d'altre culture e religioni, fino al mistero del martirio tanto diffuso ancor oggi.
Ma a Gesù e al vangelo sta a cuore sottolineare la rottura proprio con coloro che, secondo criteri razionali o banalmente ‘umani' (cioè di buon senso), avrebbero invece dovuto gioire e sostenere la crescita e la maturazione dell'opera del loro familiare e - chissà - amico di infanzia. Invece accade proprio nei luoghi della maggior confidenza che si sprigionano i paradossi dell'affetto. Perché in fondo di questo si tratta: di confondere la fede con l'affetto!

È bene spiegarsi.
L'affetto, inteso come la capacità di tutti gli esseri umani di voler bene, è una realtà potenzialmente assai positiva. Ma se succede di assolutizzarla senza comprenderla meglio, dimenticando la complessità della nostra vita interiore e il variegato intreccio di forze e di debolezze, di bisogni e di attrazioni, di pensieri e di emozioni che formano il nostro mondo psicologico, allora accadono pasticci. L'affetto può trasformarsi in possesso, o pretesa di possesso. O, al contrario, quando non vede realizzate le proprie brame, può divenire indifferenza, addirittura odio. Questo avviene anche all'interno delle famiglie di sangue, forse ancor più che nei contatti istituzionali o associativi. La stessa vita ecclesiale, che ha una matrice ideale alla sua origine, non è esente da queste dinamiche, per la semplice ragione che anche la Chiesa, la comunità cristiana si costituisce come incontro di creature umane.

La fede, intrecciandosi con l'affetto, lo libera.
Ne sprigiona le potenzialità di amore autentico. Gesù, che è uomo di fede e Dio creduto, desidera intessere relazioni reali che insegnino a voler bene liberandoci dai legacci. La famiglia, la patria, la comunità sono dunque luogo di opportunità per incontrare i fratelli e con essi incontrare Dio. Ma non sono l'assoluto, non devono diventare idoli al posto dell'unico vero Dio.
I legami di sangue, per Gesù, che ben conosce il cuore dell'uomo, non sono né gli unici né i più importanti per giungere alla ‘patria beata', al Regno di Dio. Patria che non è di questo mondo, ma che in questo mondo semina i suoi germogli e lascia le proprie tracce. La patria dei discepoli di Gesù è oltre questo mondo, ma rende talmente liberi - perché siamo “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19)- da poter abitare tutto il mondo e ogni relazione come quella di un fratello con i propri fratelli.
Dunque i fratelli e le sorelle di Gesù sono un numero infinito, e spazio ce n'è ancora tanto, dentro la sua casa, perché trovino posto e affetto coloro che altre famiglie e dimore non hanno più. Non c'è niente da fare: chi pretendesse di esercitare diritto di proprietà verso Gesù e i suoi familiari, incapperebbe nell'assurdo paradosso di tirarsi fuori da solo dai vincoli che ne fanno un suo intimo amico. Perché nella Chiesa, nuovo popolo e preludio del compimento del Regno, tutti sono benvenuti, ad occupare il posto che gli spetta nel cuore affettuoso di Dio.

 

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