TESTO Profeti inascoltati
don Mario Simula ufficio catechistico diocesi di Sassari
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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/07/2021)
Vangelo: Mc 6,1-6
1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Possiamo essere “figli testardi e dal cuore indurito”. Dio ci parla ugualmente. “Sia che ascoltiamo sia che non ascoltiamo”. Dio ci parla ugualmente perché ci ama.
Con temerarietà osa anche inviarci nel suo nome. Tutti devono sapere che: “Un profeta si trova lungo le strade quotidiane della vita”.
Io sono una povera creatura. Gesù non mi dispensa dall'essere “prete degli esuli”, come Ezechiele.
Dio ha bisogno di me e di ogni suo discepolo per arrivare a chi ha il cuore indurito e la mente testarda.
In questo mondo di esiliati e di smarriti, deve sempre risuonare la Parola che esce dalla bocca di Dio.
Ascoltino o non ascoltino.
Il profeta che crede nel Signore e sente la chiamata all'annuncio, non può mai battere in ritirata perché sperimenta l'insuccesso, la solitudine e talvolta la persecuzione. Gli apostoli dicevano, nel vortice delle tribolazioni: “Non possiamo non parlare”. Ci strapperanno la lingua e noi parleremo con i segni di Dio.
Ci imprigioneranno ma la Parola di Dio percorrerà il mondo nella più totale libertà, griderà con maggiore efficacia.
Oggi comprendo con dolore che noi, profeti mandati da Dio nella vita di tutti i giorni, rischiamo di lasciarci piegare dalla sofferenza o dagli insuccessi. Forse anche dal nostro stesso orgoglio perché contiamo molto sulle nostre risorse o sui metodi del mondo.
Essere tutti, preti e laici, “sacerdoti degli esuli di questo mondo” è un vanto.
Dobbiamo, però, sentirci profeti. Dobbiamo sperimentare la chiamata di Dio. Dobbiamo avere la consapevolezza che parliamo in nome di Dio. Con il coraggio di chi sente Dio nel cuore come un fuoco, lo sente nella mente come uno stimolo inarrestabile, lo sente nell'amore come una spinta irresistibile.
Contempliamo Gesù nella sua città di Nazareth. Compie segni meravigliosi e colmi di tenerezza.
Pronuncia parole di verità nella sinagoga, davanti ai grandi “esperti” di Israele.
La risposta della gente, che pure lo conosce, è una sola. Unanime. Provano stupore davanti alla sua autorevolezza. Eppure restano scettici, diffidenti, sprezzanti. Chi si crede questo Gesù figlio di Maria! E' il falegname. Conosciamo bene la madre. Conosciamo i suoi parenti Giacomo, Ioses, Giuda e Simone.
Conosciamo le sue cugine. Abitano tutti in mezzo a noi. Chi si crede questo falegname-maestro!
E si scandalizzano di Gesù. Gesù diventa, per i loro piedi, una pietra di inciampo.
Da un annuncio vero, autentico e pagato a caro prezzo, non devo aspettarmi applausi e complimenti.
Arriveranno domande ironiche. Rifiuti silenziosi e anche gridati. Giudizi implacabili e impietosi.
Ci sentiremo urlare addosso: Chi credi di essere. Cosa vuoi.
La difficoltà di portare parole, esempi e gesti di verità oggi è dietro l'angolo. Gesù lo sa: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.
E si meraviglia della loro incredulità. Non sarò certo io a ritenermi raccoglitore di risultati speciali.
Se obbedisco alla fede con coerenza o almeno con perseveranza, sarò spesso solo, sarò una voce che grida nel deserto.
Eppure ho il coraggio di continuare a parlare per Dio, forse in mezzo alle sconfitte e alle lacrime. Il bisogno dell'amore da raccontare, non conosce fughe o rifiuti. E' Dio che lo suscita in noi.
Tutto il mondo aspetta la Parola che salva. “Gesù, osteggiato, percorre i villaggi d'intorno, insegnando”.
Chiama anche noi a seguirlo per la stessa strada.
Certamente rimane in noi la domanda: “Ne vale la pena?”. Gesù ha parlato fino a morire.
Nessuno è profeta nella sua terra. Per “andare” occorre il coraggio di chi ha scelto Lui, di chi lo ha conosciuto, di chi ha risposto al suo Amore, con amore.
Cerca dentro di te l'adesione definitiva a Gesù e prova a dirgli: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene. Tu sai che nel tuo nome getterò sempre la rete. Tu sai che mi fido anche nella burrasca”.
Queste sono le risposte vere del profeta dei nostri giorni, seminato come granello e come lievito.
Quando si sente “sedotto” tragicamente da Dio e vive la tentazione di mollare tutto, non riesce a spegnere quel fuoco che dentro brucia e continuamente lo getta dove tanta umanità aspetta.
Ognuno di noi è Elia che scappa da Dio per paura. Dio lo afferra nel mistero silenzioso della santa montagna per farlo ritornare sui suoi passi. Non bastano i nostri peccati che ritornano, a far demordere Dio dalla sua presa tenera e irresistibile.
Paolo ha una parola di conforto per ogni profeta esule nel mondo, per amore della Parola.
E' messo alla prova. Tocca con mano la fragilità che porta nel corpo. Non abbandona il campo. Prega giorno e notte per essere liberato.
Dio sa dare una sola risposta: “Tu che credi nonostante la tua debolezza. Tu che proclami il Signore con l'umiltà di chi si sente incoerente. Tu che devi continuare a parlare nonostante i sorrisi amari di chi ti circonda, ricorda sempre che ti basta la mia grazia. Quando comprenderai che la forza si manifesta pienamente nella debolezza, sarai veramente un discepolo colmo di beatitudine”.
Noi possiamo vantarci soltanto delle debolezze che ci abitano. Di queste debolezze dobbiamo compiacerci negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo.
Quando sono debole, è allora che sono forte della forza di Dio. E alzo gli occhi al Signore e continuo a camminare e a cantare per raccontare le sue meraviglie.
Gesù, siamo alla resa dei conti. O divento consapevole che tu mi mandi come profeta di esiliati e di un popolo dalla testa dura e dal cuore insensibile, oppure non ho capito il tuo linguaggio e la tua missione.
D'altra parte, Gesù, come faccio a capire se, io per primo, ho il cuore di pietra e la testa convinta di possedere la verità? Tu giochi le tue carte puntando tutto sulla mia debolezza, perché brilli la tua forza.
Gesù, tu sai che ti voglio un bene dell'anima, ma rimane troppo duro per me andare a parlare nel tuo nome. Sei sempre troppo esigente se penso alle mie fragilità, ai miei sbagli, alle mie paure.
Gesù, cosa vuoi insinuare quando, senza mezzi termini, mi lanci quel messaggio pesante: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.
Gesù amico mio, senso unico della mia vita, mio ostinato approdo ogni volta che mi allontano, devo iniziare a capire.
Tu mi vuoi ramingo per i villaggi altrui. Cercatore di chi ascolti non le mie parole ma le tue. Mendicante di cuori che diventino di carne davanti al tuo amore incredibile, per me sempre esagerato e assurdo.
Tu, Gesù, non mi crei “la casa dolce casa”.
Mi mandi, senza un cuscino dove posare il capo, in un mondo di messaggi contradditori e senza freno.
Mi mandi non per mettere la museruola alle persone. Mi mandi per ascoltare anche le bestemmie, anche l'insulto. Ma anche i gemiti, le implorazioni, le richieste di aiuto nascosti sotto le bestemmie.
Gesù, visto che ancora una volta ho deciso di fidarmi di te, ti chiedo di non essere io la causa della infelicità di chi non ti accoglie. A volte ho proprio questo forte dubbio.
Lascia che io ti guardi, alzando gli occhi. Come uno che implora. Come uno che cerca. Come uno che elemosina. E tu, Gesù, folgorami con uno dei tuoi sguardi intensi, capaci di scatenare scompiglio nel mio cuore e in tutta la mia esistenza.
Gesù, perdona oggi la mia preghiera rude. Intanto oserò sempre parlarti così, mentre guardo il tuo volto.