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TESTO Nessuno è profeta nella propria patria

padre Antonio Rungi

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/07/2021)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Il brano del Vangelo della XIV domenica del tempo ordinario ci riporta alle attività preminenti svolte da Gesù nella sua città di residenza, Nazareth e in altri villaggi della Palestina che egli percorreva, in lungo e in largo: insegnava, spiegava e guariva.
Partiamo proprio dal primo compito che Gesù svolge nella sinagoga di Nazareth, in quel sabato che ritorna al suo paese. Come tutti i fedeli ebrei si ritrovavano nel luogo della proclamazione, dell'ascolto e della spiegazione della parola di Dio, ovvero il libro della Legge e dei Profeti, anche Gesù fa la stessa cosa e prende la parola come era lecito fare.
L'insegnamento di Gesù stupiva gli ascoltatori, in quanto il suo non era il solito modo di parlare e commentare, ma insegnava con autorità e soprattutto con quella sapienza divina che solo chi era attento alla voce di Dio poteva intuire come diversa dalle altre voci che pure si alzano nella sinagoga, a turno, per spiegare la parola di Dio.
Legittimo interrogarsi, quindi, da dove gli venivano le cose che diceva e la sapienza che manifestava nel trattare argomenti di sacra scrittura. E soprattutto non riuscivano a spiegarsi come Gesù compisse tanti prodigi e miracoli, non essendo un uomo di cultura, conosciuto, rampollo di quale casato importante di Israele di allora. Infatti subito gli ascoltatori, i denigratori, ma anche i meravigliati di Cristo, mettono in risalto l'umile provenienza di Cristo: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». La parentela di Cristo è ben delineata senza far risaltare la grandezza di questo uomo che predicava nella sinagoga del suo paese e che i paesani ascoltavo volentieri, affascinati, ma dubbiosi sulla grandezza del loro profeta locale.
Chiaramente la parentela così come espressa non indica lo stesso coccetto di parentela biologica dei nostri giorni. Le categorie di fratello e sorella nella cultura ebraica sono bene diverse dalle nostre, qui indicano una parentela molto stretta di Gesù che si configura come cugini o cugine per la parentela riferita alla Madre di Gesù. Inoltre ci sono alcuni motivi linguistici che fanno propendere a non intendere in modo diretto l'espressione «fratelli» di Gesù. Innanzitutto l'uso generalizzato e comunissimo nelle lingue semitiche di indicare i cugini o altri parenti stretti con la menzione di «fratelli» (uso tra l'altro ancora in vigore in molte culture nel mondo). Ma anche il fatto che di Maria se ne parla solo ed esclusivamente come della madre di Gesù (e più spesso con il titolo «sua Madre»).
Ovvero, il legame con Maria madre di Gesù e i cosiddetti fratelli di Lui non è mai espressamente indicato nel NT. Maria è sempre e solo la madre di Gesù e Gesù non ha avuto nessun fratello o sorella da un punto di vista biologico, in quanto Maria ha concepito Gesù per opera dello Spirito Santo ed è rimasta vergine, prima, durante e dopo il parto, non avendo avuto alcun altro figlio, come figlio, se non Gesù Cristo il Figlio di Maria e del falegname per indicare la paternità giuridica di San Giuseppe, il custode del Redentore.
Ritornando al brano del Vangelo, Gesù di fronte all'incredulità ed ai dubbi dei suoi compaesani si lasciò andare in una espressione che rappresenta da 2000 anni quell'atteggiamento che una comunità dove una persona è nata e cresciuta può avere nei confronti di un suo concittadino che si è affermato o che vuole dire qualcosa di importante per la stessa comunità, per la famiglia, nei luoghi dove vive a lavora. Ecco allora l'aforisma del rifiuto del profeta da parte dei propri concittadini: Nemo propheta in patria. Nessuno è profeta a casa sia.
Infatti dice Gesù, replicando a quella gente, che un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». In effetti, dopo che Gesù, a circa trent'anni, aveva lasciato Nazareth e già da un po' di tempo era andato predicando e operando guarigioni altrove, ritornò quella volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (cfr Mc 6,2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro. Gesù stesso porta come esempio l'esperienza dei profeti d'Israele, che proprio nella loro patria erano stati oggetto di disprezzo, e si identifica con essi. A causa di questa chiusura spirituale, Gesù non poté compiere a Nazareth «nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (Mc 6,5).
In poche parole, Gesù avendo capito l'ostilità nei suoi riguardi invece di rimanere lì a fare altri miracoli per essere accettato, passò altrove insegnando nei villaggi d'intorno. Dovremmo tutti imparare da Cristo: quando non si è accettati, non bisogna fare ulteriori cose per entrare nelle simpatie e nel gradimento degli altri.
Una persona la si accetta per chi è, per come agisce anche nelle sue limitazioni e differenziazioni che non devono mai essere motivo di discriminazione. Possiamo ben dire che il primo ad essere discriminato nella storia della cristianità è stato proprio Gesù, mentre Lui accoglie, difende e promuove tutti.

Ci serva per al comprensione della parola di Dio di questa domenica quanto scrive il profeta Ezechiele nel brano della prima lettura, nel quale denuncia apertamente la situazione del popolo di Israele: «Figlio dell'uomo, io ti mando ai figli d'Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito”. Il profeta denuncia la durezza del cuore e l'allontanamento di Israele dagli insegnamenti divini. Il profeta deve essere chiaro ed esplicito nel denunciare ma anche nell'indicare una via di uscita e di salvezza: Tu dirai loro: "Dice il Signore Dio". Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro». In poche parole dovranno prendere atto che un profeta è in mezzo a loro e avendo questa opportunità devono ascoltare la sua voce e cambiare vita. Anticipa questo testo quello che troviamo nel vangelo di oggi. Ma il discorso non finisce con il riferimento all'Antico Testamento. San Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua seconda lettera ai cristiani di Corìnto, mette in evidenza le tentazioni alle quale è soggetto e per tre volte prega il Signore che l'allontanasse da lui. Questo desiderio di essere perfetto deve passare per altre prove, fino a quando la fiducia nel Signore si affermerà totalmente nella sua vita, riconoscendo le sue debolezze e perciò bisognoso della misericordia di Dio e della sua paterna protezione nelle temeste della vita. Perciò l'apostolo Paolo potrà affermare con certezza assoluta che “mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte”. L'uomo è forte quando si abbandona a Dio, diventa fragile e debole quando confida su se stesso e sulle potenzialità soggettive o collettive che spesso approdano ad un fallimento in tanti campi e nella stessa vita.

 

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