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TESTO Di Dio e di chi si fa piccolo

don Giacomo Falco Brini   Predicatelo sui tetti - blog personale

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/06/2021)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Il regno di Dio è di Dio. Non suoni alle vostre orecchie pleonastica questa affermazione. È qualcosa che si genera insieme a Dio. Se no, non è di Dio. Non c'è veramente il suo segno se l'uomo si crea religiosamente “il suo” regno e poi invoca Dio solo per far avallare i propri interessi, o per dare un certificato alle proprie opere. In giro (anche nella Chiesa) si fanno tante cose per Dio che dubito piacciano a Dio. Non a caso Gesù fa concentrare la nostra attenzione sulla relazione tra un uomo e un seme, tra la sua azione e la sua inazione, tra la sua conoscenza e la sua insipienza sul mistero della vita, tra la necessità dell'attesa e la sua meraviglia davanti ai frutti da cogliere a tempo debito (Mc 4,26-29). Il regno è di Dio quando si da il primato a Dio. E questo primo passo l'uomo lo fa quando davvero gli lascia la parola, principio di vita. Infatti, il seme di cui parla Gesù nel vangelo, è la Parola di Dio. La sinergia con Dio parte così o non parte affatto bene. La prima parabola ci aiuta a identificare bene dove nasce il regno di Dio e qual è il suo dinamismo.

Seconda parabola. Qui troviamo un'altra qualità del regno. La piccolezza è un distintivo divino. È veramente affascinante vedere come, per le sue opere, Dio scelga luoghi piccoli e irrilevanti; come Egli chiami, per avviare queste opere, persone piccole a cui nessuno darebbe alcun credito. Perciò il Signore compara il granellino di senape con gli altri semi che sono sul terreno (Mc 4,31). Sembra allora che qui il seme sia l'uomo stesso. Come negare questo stile divino? Gesù è venuto al mondo in un sobborgo chiamato Betlemme, di cui il profeta Michea decanta la piccolezza destinata a una fama (Mi 5,1). Ha scelto una piccola e sconosciuta giovane donna di Nazareth per incarnarsi. Andando ancor più indietro nel tempo, come non ricordare l'inizio di una nuova epoca del regno di Israele con la scelta di Davide, il più piccolo della casa di Iesse, che non era nemmeno stato presentato al profeta Samuele inviato da Dio. E potremmo andare avanti citando altri uomini biblici o santi nella storia della Chiesa: troveremmo sempre Dio portare avanti il suo regno fedele a se stesso.

Il ramoscello del profeta Ezechiele nella 1a lettura diventa un albero grandioso, un cedro imponente alla cui ombra dimoreranno e riposeranno gli uccelli del cielo. È un'immagine di come cresca il regno di Dio che, nella parabola raccontata da Gesù, cede però il passo all'umiltà di un ortaggio. Perché? È cambiato qualcosa in Dio? Certamente no. Ma il Messia, secondo le profezie, non doveva convocare attorno a sé tutto Israele e dominare le nazioni? La profezia di Ezechiele non è da leggere così? La storia di Gesù è la storia di un Messia che non ha cercato rilevanza, non ha mirato al successo immediato attirato dal consenso pubblico e dalle masse. È la storia di un amore che si è coltivato in un gruppo di persone (che nessun leader avrebbe mai scelto) curandone pazientemente la identità. Il Signore porta avanti il suo regno in questo modo, perché la sua grandezza è sempre nell'amore. L'amore vero infatti, lo si tocca solo nelle relazioni che si stabiliscono. Ciò non toglie che l'amore manifestatosi in questa singola storia riguardi e abbracci l'intera umanità: fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. Sui grandi rami dell'albero della Croce, si offre accoglienza e riparo a ogni uomo che si volge verso Colui che vi è inchiodato.

Qualche osservazione sui versetti finali. Le parabole che Gesù racconta sono tante, ma l'intento comune è di rivelare la parola più difficile, senza la quale le Scritture rimangono un libro sigillato e incomprensibile. È la parola della Croce. Essendo necessario un cammino per avvicinarsi e prepararsi al suo scandalo, il Signore, attraverso le parabole, dona a ciascuno di cominciare ad entrare nel suo mistero, in modo da capire secondo la propria apertura, lasciando quel tanto di appetito per aprirsi in una conoscenza maggiore. Per questo si parla di una spiegazione “in privato” (Mc 4,34). Non perché le cose della fede sono un affare privato, ma perché la spiegazione che Gesù offre ai discepoli non può che avvenire in un clima di intimità delle relazioni. Il Signore è sempre pronto a spiegare quel che possiamo comprendere, se davvero lo vogliamo e ci giochiamo nella relazione con Lui.

 

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