TESTO Commento su Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/07/2021)
Vangelo: Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Forse Gesù, nel suo pellegrinare, aveva nella mente e nel cuore il brano di Ezechiele con cui si aprono le letture di questa XIV domenica del tempo ordinario. «Mentre egli mi parlava, lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi; io udii colui che mi parlava. Egli mi disse: «Figlio d'uomo, io ti mando ai figli d'Israele, a nazioni ribelli, che si sono ribellate a me; essi e i loro padri si sono rivoltati contro di me fino a questo giorno. A questi figli dalla faccia dura e dal cuore ostinato io ti mando. Tu dirai loro: "Così parla il Signore, DIO". Sia che ti ascoltino o non ti ascoltino, poiché sono una casa ribelle, essi sapranno che c'è un profeta in mezzo a loro» (Ez 2,2-5).
Il Maestro, camminando a piedi, con il suo piccolo gruppo di discepoli, percorreva i villaggi. E la gente accorreva da ogni parte, portando su lettucci improvvisati i malati affinché li guarisse, cercando una parola di conforto per le fatiche del vivere. Giornate stressanti, quelle di Gesù, come sempre è stressante vivere le sofferenze della storia. Eppure anche Gesù, come il profeta Ezechiele, sa di essere un mandato. E di sé dà tutto. Mette a disposizione di tutti la sua forza profetica. Non si risparmia. Non ha neppure, dirà Luca, una pietra su cui posare il capo. Dalla preghiera trova la forza per continuare la sua missione.
Poi un giorno torna a casa sua, a Nazaret, sempre accompagnato dai suoi discepoli. È sabato e, come ogni buon Israelita, si reca alla Sinagoga. Marco dice «Si mise a insegnare». Ma l'accoglienza è ben diversa da quella dei paesi vicini, quando l'entusiasmo riempiva le piazze. C'è molta diffidenza: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (Mc 6. 2-3). Ma già Marco aveva fatto notare al capitolo 3 come gli stessi parenti fossero sconcertati e lo considerassero «fuori di sé», pazzo. Nelle agiografie di molti santi la «pazzia» è un dato ricorrente: pensiamo solo a San Francesco... Forse anche noi consideriamo «pazzi» coloro che sono diversi da noi, che non condividono i nostri modelli di vita, che con il loro comportamento, talvolta sgarbato o disinibito, ci richiamano quei principi che, pur nascosti in qualche angolo oscuro della nostra coscienza, non ci sentiamo di praticare. «Quello è pazzo...». Ma noi, siamo «normali». Qual è la linea di divisione tra normalità e follia? Come fa opportunamente notare Aldo Antonelli (Estraneo in casa, Adista 21, 5/6/2021, p. 15), «là dove la normalità consiste nella fossilizzazione dei ruoli e dei relativi comportamenti, la diversità è sinonimo di pazzia. In una pagina del Talmud si legge: “Rav Johanan ha detto: dal giorno della distruzione del Tempio (di Gerusalemme) la profezia è stata tolta ai profeti e data a pazzi e bambini”». Dunque Gesù è «pazzo» e da questa pazzia deriva la sua predicazione, la sua profezia. E solo un bambino, non ancora manipolato, omologato, potrà esclamare con la sua semplicità: «Il re è nudo».
Ma quanta amarezza in Gesù quando deve constatare che nessuno è profeta in patria. E soprattutto constatare la sua impotenza: «E li non poteva compiere alcun prodigio» (Mc 6,5). Un'osservazione splendida, quella di Marco, della quale possiamo trovare conferma in tanti studi psicologici, ma anche nella nostra vita quotidiana. Noi possiamo dare il meglio di noi stessi, quando siamo confermati nella nostra capacità di agire. Possiamo anche essere confermati negativamente («Non sono d'accordo con te..., ma ti considero una persona agente...), ma quando sentiamo di essere oggetto di disconferma, che vuol dire mancanza di interesse, chiacchiericcio nascosto, compatimento... («poveretto!»), solitudine, ci sentiamo come paralizzati anche nel fare le cose più semplici.
Io credo che la disconferma sia il segno più imponente di una mancanza d'amore. Ed è solo l'amore che riesce ad operare i miracoli.
Pur conoscendo (e addirittura vantandoci di essa, come dice Paolo nella seconda lettura) la nostra debolezza, continuiamo a cantare con il salmista: Pietà di noi, Signore, pietà di noi,/siamo già troppo sazi di disprezzo, / troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,/del disprezzo dei superbi. Però sappiamo che ci basta la Grazia per non arrenderci, per andare avanti, con fatica, ma con gioia.
Traccia per la revisione di vita
Ci siamo mai sentiti - anche noi come Gesù - discriminati in patria?
Ci siamo mai sentiti disconfermati dagli amici, dai famigliari, dai «superiori»?
In questo caso, abbiamo pensato di «mollare tutto», oppure abbiamo deciso di proseguire nella nostra impresa fidandoci della Grazia che il Signore elargisce abbondantemente?
Luigi Ghia Direttore di Famiglia domani, trimestrale edito da Gazzetta d'Asti srl, a cura dei Centri di Preparazione al Matrimonio