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TESTO Commento su Marco 4,26-34

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XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/06/2021)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

C'è una parola chiave che unisce le Letture odierne: fiducia.

Se dunque nella prima lettura è proprio Dio che attraverso il suo profeta parla al suo popolo, nella seconda troviamo san Paolo che esorta i cristiani di Corinto a rispondere alla fedeltà dell'Altissimo con la fiducia, espressione della nostra fede.

Il contesto in cui Dio parla al suo popolo eletto attraverso il suo servo Ezechiele è quello dell'esilio di Babilonia: Israele è quindi deportato, oppresso. E dentro questa situazione tragica per la sua identità nazionale (e proprio in essa!) Dio è con loro. Dio è Padre, e si servirà sempre della fedeltà di un piccolo “resto” per perpetuare nei secoli la sua Fedeltà.

Sì, è lo stile di Dio puntare sul piccolo, sull'umile per salvare i “grandi”: salvare il “cedro malato” per mezzo di un solo suo umile ramoscello. Il cedro, albero maestoso, è qui metafora del popolo di Dio - numeroso come le infinite stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare (cf. Gen 22,17) - che nella prova è sempre tentato di abbandonare il suo Dio, Colui che “lo ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto e condotto nella terra dove scorre latte e miele” (cf. Es 3,8). Ma in questo “cedro traviato”, Dio scorge “un resto”, un piccolo ramoscello che, pur nell'oppressione, continua ad “annunciare la sua fedeltà lungo la notte” (Salmo 92).

Per ben tre volte in pochi versetti Javhè ricorda al suo popolo chi è: “Così dice il Signore Dio”; “Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore”; “Io, il Signore, ho parlato e lo farò”.

L'oracolo rimanda alla Legge data a Mosè sul Sinai: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi di fronte a me» (Dt 5,6-7).

Ma purtroppo Israele ancora una volta disobbedisce al suo Dio e si prostra agli idoli. È la storia dell'uomo: prostrarsi agli idoli; ed è la storia di Dio: aver pietà di lui. E queste due storie - quella di Dio e quella degli uomini - diventano in Gesù Cristo un'unica Storia: da storia di miseria a storia di misericordia.

È per il suo Figlio unigenito fattosi carne, fattosi fragile “ramoscello” che Dio trapianterà il nuovo popolo - la Chiesa - sul “monte alto” della Gerusalemme celeste.

E Paolo ci ricorda che a questo progetto di salvezza occorre rispondere con la nostra fede operosa che chiamiamo con il nome proprio di carità: è in rapporto ad essa infatti che un giorno saremo giudicati.

La nostra fede si fonda su un Dio che si è fatto uomo: Cristo è il Capo e la Chiesa è il suo corpo. Nella fede in lui, dentro questo Corpo, siamo chiamati per grazia dello Spirito Santo a gettare i semi della nostra testimonianza fatta soprattutto di gesti concreti di amore verso il prossimo.

La categoria della fiducia che ha condotto la nostra riflessione è la risposta dell'uomo alla fedeltà di Dio: è l'espressione della nostra fede, il sinonimo della nostra speranza, il motore della nostra carità.

Per dirlo con uno slogan... “Fiducia: i nostri passi verso Dio nel cammino della fede”.

Di fiducia ci parla anche Gesù nel Vangelo, mettendoci in guardia da ogni efficientismo apostolico che senza di Lui si rivela sterile.

Pensiamo ancora a quel “resto” di Israele che è rimasto fedele al Signore; pensiamo ai tanti martiri della storia della Chiesa, o ai nostri contemporanei perseguitati a motivo della fede...

Nella prova e nelle avversità cosa si può fare di così eclatante per testimoniare la propria fede? “Solo” di restare umilmente e silenziosamente fedeli, proprio come il seme sotto terra che, caduto e nascosto agli occhi di tutti, diventa spiga, e poi grano e poi pane.

Il Cardinale vietnamita Van Thuan, arrestato e fatto prigioniero per la fede per ben 13 anni, nella sua autobiografia scrive di sé che durante la prigionia era fisicamente e psicologicamente distrutto, ma è rimasto fedele al suo Dio e alla Chiesa, restando aggrappato alla preghiera e alla sua vocazione sacerdotale. Egli celebrava l'eucaristica quotidiana nel segreto e nella solitudine della sua cella di isolamento, diventata per lui la sua “chiesa”, consacrando una piccola ostia e qualche goccia di vino nel calice delle sue nude mani. Il suo corpo “dormiva”, ma il suo cuore vegliava, e ha portato frutto anche tra i suoi carcerieri che in fondo avevano davanti agli occhi del corpo un uomo a pezzi, quasi un non-più-uomo, eppure un cristiano.

Ramoscello, chicco di grano, granello di senape: Dio si serve di ciò che è piccolo, umile... Dio si serve di noi!

“Ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa”. L'intimità con Lui qualunque sia il nostro stato di vita, è il requisito necessario affinché il nostro apostolato sia veramente fecondo: il Regno cresce e ogni vita trova Vita eterna all'“ombra” della Sua paternità e benedizione

 

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