TESTO E avere i suoi occhi e le sue mani
don Angelo Casati Sulla soglia
VII domenica T. Pasqua (Anno B) (16/05/2021)
Vangelo: Gv 17,11-19
«11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
12Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
15Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; 19per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».
Ancora nella stanza al piano superiore, ancora parole nella notte dopo l'ultima cena, e i discepoli che si perdevano con gli occhi nella commozione di Gesù. Ogni parola era da ricordare, ogni parola apriva un mondo. Che differenza con le nostre parole che a volte aprono il nulla. Ebbene la parola "mondo" era tra quelle che oggi abbiamo più volte oggi risentito - ben nove volte - in questo squarcio di preghiera. Ma con significazioni diametralmente opposte sulle labbra di Gesù: c'è un mondo in cui stare, a cui siamo chiamati e c'è un mondo da cui rifuggire, da cui guardarci. Un mondo in cui stare, a cui siamo chiamati è il mondo della creazione, degli umani.
Pensate che proprio la passione per questo mondo è costata a Gesù la sua vita, lui venuto per risvegliarci a sognare la bellezza del mondo, lui a indicarci la via per ricostruire un mondo fatto di bene, di giustizia, un mondo della verità. Ci vuole "consacrati nella verità". E la verità per lui non era parola pallida, astratta. Era che Dio è padre, dunque tenerezza. E donne e uomini dunque sorelle e fratelli, dunque nella tenerezza. Non era per i suoi discepoli - nemmeno per quelli futuri! - tempo di separatezze, lui anzi li mandava nel mondo a costruire nel segno di una fratellanza non nominale ma vera, universale, quella che lui aveva vissuto e per la quale era morto. Fu tentativo di uccidere il sogno di Dio sulla terra. E per quel sogno Gesù li mandava.
Oserei dire che la decisione di ripristinare tra gli apostoli il numero di dodici, veniva anche da questo. Perché apostoli significa mandati, mandati al mondo, non doveva esserci un vuoto, Per amore del mondo. Nel mondo, ma non del mondo: lontani dall'appartenere al mondo per cui Gesù non pregava. L'altro mondo. L'altro era il mondo della Menzogna. Se la Verità era: Dio, padre di tutti, e noi tutti fratelli, il mondo cui non appartenere era, ed è, il mondo di un Dio che ha il volto del Padre Padrone, un Dio che scaglia fulmini, geloso della intelligenza e della libertà dei figli, questo il mondo contro cui Gesù ha lottato. E ancora, mondo della grande Menzogna è il mondo che cancella o tenta di cancellare la fratellanza, il mondo del menefreghismo, dell'esclusione, donne, il mondo, in cui "essere umani" è solo parola pallida e vuota, parola sprecata per uomini e donne senza nome, senza diritti. Senza dignità. Defraudati della verità, la verità della paternità di Dio, la verità di una fratellanza universale.
Nella preghiera di Gesù a colpirmi oggi, oltre la parola mondo, era il verbo custodire: "Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione", Lui ha custodito. Se ne va e chiede che sia ora il Padre a custodire. E vi confesso che il verbo custodire mi ha riportato d'istinto l'immagine di Dio pastore, custode, guardiano e, insieme, una riflessione di alcuni anni fa quando, nella suggestiva abbazia di sant'Egidio a Fontanelle, fui chiamato a riflettere su Caino che alla domanda di Dio "Dov'è tuo fratello" risponde: "Sono forse io il guardiano, il custode, di mio fratello?".
Ed è come se mi dicessi che Dio rimane il custode, ma chiede che noi collaboriamo con lui nella custodia. Vengo a un salmo, che mi è caro, il salmo 121. Ascoltate come sia evocata, quasi ad ogni riga, la custodia:
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà,
non prenderà sonno il custode d'Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà
quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
Con emozione penso a quante volte Gesù avrà pregato con queste parole. E con altrettanta emozione penso a un'amica di Annalena Tonelli, Maria Teresa Battistini, che lo scorso settembre, in vigilia di lasciare dopo tanta sofferenza questa terra, dal suo eremo interiore mi scriveva nell'ultimo messaggio: "Carissimo don Angelo, ecco finalmente l'ultimo passo prima di attraversare il ponte. Vorrei non essere così turbata e confusa da aver troppa paura, ma so che il Signore risparmia il vento alla pecora tosata". Il pastore ripara il vento alla pecora tosata. Dio è custode, E ci affida la sua custodia.
Colgo nel salmo un particolare: "Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele", e dunque chiamati a non lasciarci addormentare nella custodia dell'altro. Combattendo, resistendo contro l'effetto oppiaceo di troppe immagini che oscurano la vigilanza sulla devastazione di persone, popoli e terra. Mi chiedo dove era in tante circostanze la mia vigilanza, la mia custodia? E accenno a un altro particolare della custodia di Dio, evocata in molti passi della Bibbia: l'immagine di un Dio pastore e custode che che fa riposare le pecore, che riconduce all'ovile quella smarrita, che fascia quella ferita, che cura quella malata, che ha cura e misura il suo passo su quella stanca. Mi affascina, e mi chiama, questa immagine del Dio pastore che misura il passo su chi fa più fatica, sulla pecora malata, stanca, incinta.
E mi chiedo che cosa significano per me, dentro una politica dello scarto di quelli che non stanno al passo, questi verbi: ricondurre, fasciare, aver cura, misurare il il passo su chi fa fatica? Vi confesso che di tanto in tanto mi ritrovo a invocare per me la passione del Dio custode, a invocare per me i suoi occhi e le sue mani. Vorrei avere occhi e mani, io che, a volte, oltrepasso chi sconta fragilità e debolezza. Vorrei avere i suoi occhi, le sue mani. Quelli di Gesù, il pastore bello, il custode bello: occhi e mani che accarezzavano, si incantavano, restituivano valore alla piccolezza, alla debolezza, alla fragilità. Delle persone e delle cose.
Non dovrei fare memoria di chi sconta fragilità e debolezza io che credo in un Dio che alle spalle raccatta pezzi, i miei pezzi?