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TESTO Nel segreto di una vita

don Angelo Casati   Sulla soglia

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V domenica T. Pasqua (Anno B) (02/05/2021)

Vangelo: Gv 17,1b-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

Siamo ancora nella stanza al piano superiore, quella dell'ultima cena, la cena su cui Giovanni non indugia, ha appena raccontato invece la lavanda dei piedi. Di quella sera, che sarà l'ultima di Gesù, Giovanni racconta il lungo addio ai discepoli, che diventa alla fine preghiera: "Alzati gli occhi al cielo...". Ma era come se i discepoli gli fossero rimasti negli occhi, basta scorrere la preghiera. Penso sia quello che capita anche a noi, che, quando preghiamo, alziamo sì gli occhi a Dio, ma non perdiamo nessuno, di quelli che amiamo, dai nostri occhi. Chissà se le parole di Gesù furono proprio quelle che abbiamo lette o se l'emozione di chi le ha udite le abbia in parte trasfigurate in una meditazione.

Penso che dobbiamo riascoltarle, forse senza la pretesa di capire ogni sfumatura. O di rintracciare una linearità assoluta. Ognuno di noi porta un segreto nel cuore, e, quando lo racconta o solo lo sfiora, non tutti colgono fin dove arrivi. A volte ci si perde per strada. Così anch'io in queste parole, in cui Gesù sembra svelare il segreto di una vita che sta per essere donata, mi sono perso un po' per strada. Ma qualcosa pure intravvedi, perché Dio ci ha donato, come dice Paolo, il suo Spirito: "lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio... Chi infatti conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato".

Voi avete capito: Il segreto di Dio lo conosciamo in ciò che Dio ci ha donato. A partire dal suo Figlio. Il segreto di Dio sta in una donazione. Assoluta. Ecco, ora vorrei indugiare con voi su una parola che ricorre insistente nel brano della preghiera, ricorre come sostantivo e come verbo: "gloria" e "glorificare". Estraggo versetti: "Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse... E io sono glorificato in loro". Io non so che cosa pensassero quella notte i discepoli della "gloria", del "dare gloria", del "ricevere gloria". So che lui li aveva messi in guardia, quando lungo la strada li aveva sentiti discutere di posti e di primazie nel suo regno. Non era quella, certo, la gloria cui aspirare. li distolse bruscamente e parlò loro della primazia degli ultimi.

E poi, diciamocelo, pochi minuti prima di quella preghiera, lui, il Maestro, non aveva forse detto dove sta la gloria? E' scritto: "Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto" (Gv 13,4-5). E che cosa fosse la gloria per lui non l'avrebbero poi visto, senza più possibilità di equivocare, poche ore dopo, contemplandolo a braccia allargate sulla croce? Era la sua gloria, era il suo regno. Lui, pensate, dalla croce si sarebbe sentito capito nel suo segreto da uno dei due malfattori, compagni di croce. Un malfattore a carpire il segreto di quel rabbi, a capire che cosa fosse regno e che cosa fosse regnare, e che cosa fosse essere glorificato.

Lui a chiamarlo per nome, proprio con il suo nome che dice salvezza, "Gesù". Disse. "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". "Oggi", pensate! E canonizzato senza miracoli o forse sì per il vero miracolo, quello della misericordia, quello di cui tutti noi abbiamo bisogno... Gloria di quello strano re erano quelle braccia allargate, così come gloria, poco prima, era stato quel cingersi con l'asciugatoio, a lavare piedi sporchi di discepoli. Si rovesciava un significato, il significato che troppo spesso era stato dato, e ancora oggi spesso si dà, all'avere gloria. Pervertendo il senso della gloria nelle vuote, fatue, a volte risibili manifestazioni delle cosiddette grandezze mondane.

Altra la gloria del vangelo, del regno, dove puoi sostituire la parola "gloria" con la parola "amore". Come se Gesù dicesse: "L'amore che era in noi, Padre... L'amore, che è il tuo vero nome, io l'ho loro manifestato... L'amore con cui io mi sentirò glorificato in loro". Un inedito della gloria. Le glorie umane sono svettanti, imponenti, allontanano, fanno distanziamento. Mi viene spontaneo pensare a papa Francesco che, sin dalla sua prima sera, si è tolta ogni immagine di imponenza, tutto ciò che alla figura del papa legava l'immagine di una certa gloria mondana, nelle parole, nei gesti, persino nei vestiti. Diventando così il papa dell'immediatezza. Al Maestro di cerimonie che lo invitava ad indossare, sopra la veste bianca, la mozzetta di velluto rosso, bordata di ermellino, e la croce d'oro, con piglio deciso disse: "Questa la mette lei; io mi tengo questa, la croce di quando sono divenuto vescovo, una croce di ferro".

E' nella immediatezza dell'amore, nella immediatezza di una vita donata che noi riconosciamo Dio, riconosciamo Gesù. Ed è nella immediatezza dell'amore, nella immediatezza di una vita donata che noi diamo gloria a Dio, diamo gloria al Signore Gesù. E lui è glorificato in noi. Lasciatemi dire, io penso che nella sala al piano superiore, poco a poco si spensero le lampade, ma le mani. nel catino d'acqua e sui piedi stanchi rimasero intatte nel loro splendore. Si fece buio l'indomani sulla collina, ma in quel cielo livido, che più livido non ci sarebbe, le braccia allargate custodivano uno splendore che non si è ancora spento. La vera gloria. Vi confesso che nella mia vita i gesti che mi stupiscono per il loro splendore, su cui ritorno, sono quelli che portano il segno di chi si china a sollevare stanchezze, di chi stringe in un abbraccio. Gesti spesso quotidiani.

Mi ricordano la vera gloria.

 

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