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TESTO Commento su At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

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V Domenica di Pasqua (Anno B) (02/05/2021)

Vangelo: At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Questa domenica partiamo da una affermazione dell'imperatore romano Marco Aurelio, il quale affermò: “Noi siano tutti fatti per un'azione comune e l'opporsi gli uni agli altri è contro natura. La vita è comune, ogni funzione è sociale.” (vedasi Pensieri, II, I), ed è un'affermazione questa che collima perfettamente con le letture domenicali in cui ancora una volta si fa uso di quella che era la rappresentazione sociale del tempo, ossia agricola-pastorizia. Nel testo evangelico giovanneo leggiamo: “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso, se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.”
Cristo, riprendendo la IV domenica dopo Pasqua, di fatto ci chiede di pensare, amare, agire come Lui, assumendo Lui come modello non esteriore a noi ma in noi; modello come guida che cammina avanti o affianco, ma soprattutto in noi, affinché il suo Spirito agisse in noi e noi pensassimo, agissimo, amassimo come se fossimo Lui stesso.
Esprimendoci alla paolina: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” (Gal. 2,20), senza dimenticare la bellissima espressione di H.U. von Balthasar: “I nostri atti più intimi di credere, amare, sperare, i nostri umori e sensazioni, le nostre risoluzioni più personali e libere, tutto questo inconfondibile che noi siamo, è talmente compenetrato che Egli è il soggetto ultimo, sul fondamento del soggetto che noi siamo.” Splendido.
Quindi la prima parte delle parole evangeliche ci indicano chiaramente la strada dell'interscambio linfatico della grazia divina e della introiettamento umano del Cristo, e non viceversa.
La seconda parte invece è il supporto, l'azione per cui il nostro scambio linfatico sia sempre più forte e duraturo: la potatura, ossia la correzione perché il nostro agire sia sempre più in linea con il suo comando: amatevi gli uni gli altri, “come” io ho amato voi” perché da questo capiranno che siete miei discepoli...e quindi la vite ha dato, e dà, i suoi frutti a suo tempo.
Tutto questo lo possiamo calare ogni giorno nella nostra realtà quotidiana di coppia, di famiglia, di comunità, nei diversi ambiti in cui siamo chiamati ad agire.
In ogni relazione dualica tra singoli e/o collettiva ognuno di noi non agisce per se stesso, ma agisce affinché la sua azione trovi sostanza nell'accettazione dell'altro, e abbia una ricaduta intorno a sé, e porti ad azioni concrete conseguenti per il bene personale e collettivo.
Nella Chiesa ognuno di noi ha un suo ruolo e una sua missione, che non dipende da noi, anche se qualche “vertice” ecclesiale se lo dimentica, ma ciò che facciamo, ciò che diciamo, ciò che pensiamo deve e dovrà trovare il suo unico riferimento in Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, perché tutto il corpo spirituale della Chiesa sia espressione dell'Amore e della gloria di Dio.
Vivere cristianamente, e non dico cattolicamente, vuol dire vivere nella piena unità e fedeltà a Cristo Gesù, e questa fedeltà vissuta nella relazione concreta di prossimità, vicinanza, intimità, ne è la cartina tornasole.
Concludo ricordando San Francesco di Assisi che esclamava: “Mio Dio, mio tutto”, mentre un altro San Francesco di Sales scriveva: “L'Amore di Dio deve prevalere sopra tutti i nostri amori, e regnare sopra le nostre passioni. Questo il Signore richiede da noi: che fra tutti i nostri amori il suo sia il più cordiale in modo da signoreggiare tutto il nostro cuore; il più affettuoso da occupare tutta la nostra anima; il più universale da adoperare tutte le nostre facoltà; il più nobile da riempire tutta la nostra mente; il più fermo da esercitare ogni nostra forza e viglore.”

Domanda
- Come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità, so pensare, agire, dire nell'interesse del prossimo perché l'amore di Dio si manifesti nel mio essere cristiano?

Claudio Righi

 

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