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TESTO Gesù è la vite, noi i tralci, il Padre è il vignaiolo

Michele Antonio Corona

V Domenica di Pasqua (Anno B) (02/05/2021)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Questa pagina evangelica deve essere meditata all'aperto. Oltre all'ascolto liturgico, abbiamo necessità di comprendere ciò che dice Gesù sedendoci davanti a una vigna o a una sola vite e osservarla. Sarebbe ancora meglio se mentre contempliamo la vite, vi operasse il vignaiolo. Quel tempo dedicato a guardare e, magari, a domandargli conto del suo lavoro, non potrebbe che aprirci meglio la mente per comprendere le Scritture.
A essere precisi, il vangelo di Giovanni non parla di vigna - come fanno i profeti o i sinottici, nelle loro parabole - ma di vite e di tralci. Come se la telecamera del regista facesse un improvviso zoom a inquadrare un solo ceppo, il più bel ceppo della vigna, il ceppo vero.
Siamo chiamati a concentrare sulla vite autentica e lasciare tutte le altre. Non ci viene presentata un'immagine di lavoro in serie, come capita di osservare in presenza di filari molto lunghi o di vigne molto estese. Si tratta quasi di un'opera artigianale, di una cura estrema per una sola vite.
Non di rado, in molti nostri paesi si poteva trovare a fianco della porta di casa un ceppo di vite che veniva fatto crescere per formare un piccolo pergolato, i cui grappoli di uva erano l'orgoglio dei padroni di casa. Tuttavia, quando si passava davanti alla vite e non si vedevano grappoli, il disprezzo era quasi d'obbligo: Tante foglie, ma nessun frutto. Io la taglierei o innesterei! Una vite autentica non la si riconosce immediatamente dal tronco o dalle foglie (è roba per gente esperta!), ma dai frutti che porta a suo tempo. Se porta frutti vale la pena lasciarla, altrimenti bisogna potarla radicalmente oppure innestarla con un vitigno migliore, possibilmente il migliore. Scoperta l'eccellenza, il viticoltore si impegna perché tutto vada per il verso giusto.
Eccoci davanti al messaggio del vangelo: Giovanni non esita a presentarci Gesù come la vite autentica, lavorata e proposta dal Padre.
Due sono le azioni fondamentali che vengono presentate attraversi due verbi: potare e rimanere.
La prima azione è esigente e radicale. Non ci sono mezze misure da mettere in atto perché la vite porti frutto e buon frutto. Non si indugia, non si mercanteggia, non si ricerca alcuna pietà: si taglia e basta. Gli anziani usavano dire: più ne tagli e più ne dà. Il riferimento alla passione, alla morte e al dono totale di sé vissuti da Gesù per la salvezza è assolutamente voluto. Lui, la vera vite, è il primo a essere stato potato dei tralci che potevano non fruttificare.
Anche quando la vite è buona, i tralci possono non dare frutto (ad es. i dodici!). In questo è fondamentale il verbo rimanere, poiché solo se il rapporto è vero, profondo, comunicante la linfa può passare dalla vite al tralcio e portare frutto. Se invece il legame è sfilacciato, fragile, addirittura spezzato non porta frutta e si recide.
Ecco dunque l'esperienza del Paolo potato a Gerusalemme, la preghiera confidente del salmista che aveva iniziato con Dio mio, perché mi hai abbandonato?, e l'invito di Giovanni alla fiducia in Dio.

 

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