TESTO L'amore inverosimile
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (01/04/2021)
Vangelo: Gv 13,1-15
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Mosè comandò agli Ebrei di perpetuare il rito della cena di Pasqua per commemorare il passaggio degli Israeliti dalla schiavitù in Egitto alla libertà. Pasqua infatti significa “passaggio”. La commemorazione doveva avvenire nel mondo indicato alla Prima Lettura di oggi (Esodo): ogni famiglia doveva consumare un agnello “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone in mano”(Es 12, 11) e vivere così la convivialità con lo stesso Signore e fra tutti i membri, eventualmente anche con i vicini di casa. Consumare l'agnello era prerogativa di commemorazione e allo stesso tempo di comunione. Secondo l'evangelista Giovanni, quella che Gesù consuma con i suoi discepoli non è proprio la Cena pasquale prescritta da Mosè (come indicano invece gli altri evangelisti): è una cena di commiato consumata all'antivigilia della commemorazione ebraica, ma in ogni caso conserva sempre le caratteristiche della comunione e della memoria, avvalorate ulteriormente da Gesù con la prerogativa unica dell'amore. Giovanni espressamente afferma che Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine e questa Cena è l'occasione perché il suo amore diventi palese, concreto e indubbio. Amare fino alla fine vuol dire infatti amare fino all'estremo e addirittura fino al paradosso, non solamente con il sacrificio di sé che Gesù realizzerà sulla croce, ma anche nelle circostanze ordinarie della vita. L'amore disinteressato e disinvolto acquisisce la sua verità infatti nel quotidiano e nelle comuni relazioni e diventa reale e credibile quando queste hanno dell'eroico e dell'inverosimile. Gesù ama fino alla fine in tutte le occasioni e il suo amore è sempre salvifico perché è sempre sacrificato e sempre esprime l'eroismo e il paradosso.
E lo dimostra con questo gesto così semplice e allo stesso tempo assurdo, considerando la mentalità dell'epoca: si toglie le vesti, espressione già questa della rinuncia per amore, si cinge con un asciugamano i fianchi e si china a lavare i piedi a ciascuno dei discepoli. Un atto ignobile e impensabile, che era riservato solamente agli schiavi. Solo essi avevano il dovere di lavare i piedi ai forestieri che giungevano da un viaggio, adoperando attenzione e particolare attenzione e senza aspettarsi alcun segno di gratitudine. Pietro parlerà delle vedove che “lavano i piedi ai santi” come atto di accoglienza rituale, ma nessuno si sarebbe mai sognato di eseguire un atto così sprezzante in una comune circostanza, tantomeno durante una cena. Questo spiega il recalcitrare di Pietro, il quale vorrebbe evitare che il maestro lavi i piedi proprio a lui: il Santo di Dio, il Messia che lui aveva professato in precedenza non poteva umiliarsi alla stregua di uno schiavo! Ma Gesù insegna al primo apostolo che quel gesto è indispensabile perché anche lui possa condividere la sua sorte entrando dapprima in intimità con lui. Deve prendere parte dell'amore di Gesù, Pietro, non può sottrarsi e ogni opposizione è inane e melense. Dice Paul Valery che “l'amore consiste nell'essere cretini insieme”; ciò possiamo applicarlo non solamente alla vita di coppia ma anche alle caratteristiche di profondità eroica e abissale che l'amore comporta innanzitutto fra di noi e poi nei confronti degli altri: l'amore non deve cadere a vuoto ma deve coinvolgerci tutti, anche sul piano dell'inverosimile. Amare vuol dire essere assurdi agli occhi del mondo ma sapienti agli occhi di Dio, come direbbe Paolo. Consiste nello spingersi oltre alle nostre abitudini, nel non accontentarsi e nello spingersi ad oltranza ai limiti del ridicolo secondo l'esempio di Gesù stesso.
E infatti questo dice subito dopo Gesù ai suoi discepoli: “Come ho fatto io, così fate anche voi”, dando loro un “comandamento nuovo” dell'amore reciproco universale secondo il suo esempio.
Quello che Gesù esplicita è lo stesso amore di donazione che avverrà nella forma eclatante quando egli consegnerà se stesso per tutti sulla croce. Possiamo affermare che il gesto esplicativo della lavanda dei piedi trasferisce nel quotidiano il valore dell'amore sacrificale del supplizio. In altre parole, ciò che Gesù vive nella croce, lo si vede anticipato in altre forme nell'umilissimo gesto della lavanda. Sulla croce Gesù avrà le fattezze di uno schiavo e di un agnello indifeso e il suo sangue sarà ma la massima espressione dell'amore per noi, che avrà la meglio perfino sulla morte.
Ciò che Gesù vivrà nella croce lo si vede prefigurato però anche in un altro gesto che Giovanni, a differenza degli altri evangelisti omette nel racconto della Cena. Non si parla infatti qui dello spezzare pane accompagnato dalle famose parole “Questo è il mio Corpo”; si omette la ripartizione del vino con l'espressione “questo calice è la nuova alleanza”; gesti espressivi di un amore oblativo che in Gesù non conosce confini di tempo oltre che di spazio. Con queste azioni sul pane e sul vino, che diventano il suo Corpo e il suo Sangue Gesù dimostra in anticipo il suo sacrificio sul Golgota, dà ai suoi un saggio della sua immolazione di croce e del valore salvifico del suo sangue. “Questo è il mio Corpo” vuol dire espressamente “Questo sono Io”. Nel momento il cui si pronunciano queste parole la sostanza del pane muta in quella del Corpo di Gesù e lo stesso avviene per quanto riguarda il vino.
Con l'espressione “Fate questo in memoria di me” Gesù chiede ai suoi discepoli di perpetuare nel tempo la presentazione del suo sacrificio, nella celebrazione del memoriale, che è ricordo e attualizzazione. Gesù sarà infatti presente nelle sembianze del pane e del vino, riattualizzando il medesimo sacrificio di immolazione avvenuto una volta per tutte sul luogo detto Cranio. Ogni volta che vi assisteremo, trarremo frutto di edificazione, di elevazione e di forza da quel sacrificio che si ripresenta sull'altare dove Gesù Corpo, sangue anima e divinità è presente si dona a noi esattamente come si donava nella Cena ai suoi discepoli. Nell'Eucarestia trarremo vigore, coraggio, motivazione e ci sentiremo sempre spronati e sostenuti perché lo stesso Signore Eucaristico divenuto nostro cibo agirà effettivamente in noi. L'Eucarestia è il dono perenne che Gesù fa di se stesso in ogni tempo, con la stessa efficacia di uomo vissuto in Galilea e con lo stesso valore salvifico della Cena e della Croce. L'Eucarestia Gesù dimostra che il suo amore è sempre inverosimile, anche oggi, così come lo era quando si chinava quella sera sui piedi dei discepoli.
L'amore dello schiavo che ci rende liberi, del povero che ci arricchisce e del debole che è la nostra forza.