TESTO Commento su Marco 1,21-28
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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (31/01/2021)
Vangelo: Mc 1,21-28
21Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Marco Simeone
Questa domenica è quella successiva alla domenica della Parola, ma in fondo siamo sempre lì. Il brano del vangelo ci parla di un esorcismo, per qualcuno potrà essere un arcaismo, per qualcun altro invece potrà esercitare il fascino del mistero. Io suggerirei di seguire le orme che s. Marco ci ha indicato per seguire Gesù. Leggendo di fiato il vangelo potremmo pensare che è la prima giornata di ministero di Gesù, in realtà le vocazioni dei primi 4 erano avvenute sul "luogo di lavoro", stavano riassettando le reti, qui invece siamo nel sabato, per forza di cose almeno il giorno dopo; ma Marco ci sta narrando cosa significa "il tempo è compiuto, il Regno si è avvicinato, convertitevi e credete al Vangelo". Prima ci sono state le vocazioni ora il Signore entra nella sinagoga: è il momento della preghiera per il popolo di Israele, è il momento di santificare le feste, Dio si fa prossimo all'uomo e gli concede di stare nell'anticipo del Suo riposo. Penso che qui dobbiamo aprire una parentesi: noi abbiamo appreso sin dal catechismo della prima comunione cosa significa andare a messa la domenica, cosa ovviamente sacrosanta.
Sappiamo che nella tradizione del popolo ebraico questo è stato il comandamento difeso con più forza e che fa parte del suo "codice genetico", anche chi non è praticante osserva il sabato. Sappiamo anche che prendere sul serio il comandamento significa non lavorare assolutamente in quel giorno; le interpretazioni troppo strette, invece, hanno creato problemi anche a Gesù...
Però c'è una sapienza sottesa in questo comandamento che troppo spesso viene banalizzata. Non si tratta semplicemente di fermarsi, ma di fermarsi per contemplare: come Dio dopo la sua creazione ha bisogno di fermarsi per contemplare la sua opera, così anche noi abbiamo bisogno di fermarci per fare almeno 3 cose: la prima è entrare in sintonia con la nostra storia, tutt'altro rispetto all'evasione, al non volerci pensare. Cosa ho vissuto? chi sono diventato? cosa mi ha fatto bene e cosa male? Come stanno quelli intorno a me? Queste e altre sono domande che fuggiamo come la peste. Non ci vogliamo pensare, perché vogliamo solo stare bene! Sempre in fuga da noi stessi non andiamo lontano.
La seconda è quella di lodare il Signore: l'opera della salvezza di Gesù si dispiega nella nostra vita, con noi, talvolta nonostante noi, perché nasce dal suo cuore ed è inarrestabile. Avendo consapevolezza di questo possiamo lodarLo. La terza è godere dell'anticipo del cielo: stare col Signore e apprezzare la sua opera è anticipo del paradiso; i nostri fratelli ebrei così vivono il sabato, è una festa non semplicemente pausa dal lavoro. Da questo nascono, si rinnovano, vengono purificati i nostri rapporti con chi ci sta vicino.
È evidente che la messa compie tutto questo, altrettanto evidente, dalle assenze domenicali, che se non ci educhiamo a vivere la complessità del comandamento, la celebrazione eucaristica rimarrà sempre tronca, non uscirà mai dal confine della chiesa, non parlerà mai al cuore e annuncerà l'opera della salvezza.
Gesù a modo suo compie il comandamento: entra nella sinagoga e insegna, legge prima la Parola e poi guida i presenti ad entrarci.
Quello che accade dopo è indicativo: Marco sceglie con cura questo episodio. La parola viene proclamata con autorità (in greco Exousia), con potenza, con efficacia, direi con fede che quella parola opera ciò che dice...
C'è un uomo che sta nella sinagoga, che sta ascoltando quella parola, sta pregando, insomma è uno buono: quando ascolta questa parola qualcosa gli esplode dentro, lo spirito impuro che gli si annida dentro esce allo scoperto. Gesù ha fatto tanti miracoli, però Marco inizia da qui: il regno che viene svela il male che si ha dentro, perché il regno di Dio è salvezza vera, non è una pacca sulla spalla, non è un brodino. Questa parola detta con potenza, con autorità non sopporta i compromessi col male, anzi. Nel caso di quell'uomo, che è addirittura posseduto, fa emergere il suo stato, ma anche per noi fa emergere le nostre meschinità, le connivenze col male, le volte che ci facciamo lo sconto sul vangelo del tipo:" lì c'è scritto così ma io invece faccio cosà", "sì 2000 anni fa si poteva anche fare così ma oggi proprio no" e così via. Il peccato non è la debolezza davanti a quella o quell'altra spinta interiore, è quando quella situazione ce la coccoliamo e guai a chi ce la tocca. Noi diventiamo aggressivi quando qualcuno ci scopre gli altarini, quando gli attaccamenti vengono in superficie, l'orgoglio frigge. Qui addirittura esce allo scoperto un demonio che prova a mettere in difficoltà Gesù, scatenando le aspettative sbagliate del popolo. Una scena molto diversa da quelle dei film dell'orrore...
Ma qui si vede la signoria di Gesù: non c'è una lotta, non ci sono 2 principi che si fronteggiano, c'è Dio e una pallida figura che si scioglie come neve al sole quando c'è il confronto. 2 semplici ordini: "Taci!" Letteralmente è mettere la museruola, è l'ordine che non prevede altro che l'obbedienza immediata. L'altro ordine è: "Esci da quell'uomo!", è il signore che rivendica la libertà dell'uomo, perché Lui è il liberatore dal male e dalla morte, dietro le figure del faraone e di Babilonia c'è sempre l'antico avversario che qui viene denudato e sconfitto. Il male, del quale il diavolo è il banditore, è la possibilità di escludere il Signore dalla nostra vita per rimpiazzarlo con qualcosa/qualcuno, quello che la bibbia chiama idolo. Il tacere è smettere di mentire e di sviare l'uomo dal suo percorso verso il Padre, uscire è liberare il posto che appartiene a Dio e a Dio solo, la coscienza che è il luogo dove l'uomo e il Signore si incontrano. Siamo fatti a immagine di Dio e fatti per Lui, siamo fatti per qualcosa di grande: per questo Gesù, venuto a salvarci, caccia via il nemico dell'umanità.
E qui si crea il luogo della scelta: il nome di Gesù significa che il Signore ti salva, credere in Lui significa riconoscere che abbiamo bisogno di salvezza, qui e ora, sia che siamo cristiani con i gradi o appena arrivati, ogni giorno si ricomincia da capo. Allo stesso tempo significa aver in parte sperimentato che seguire Gesù è vita vera, Pietro direbbe che solo Lui ha parole di vita eterna, definitiva. Se credo mi affido e mi lascio liberare, smetto di pensare che da solo ce la posso fare, che tutto dipende da me, e lascio fare a chi sa liberarmi dal peccato oggi, un giorno dalla morte. Ovviamente il demonio svanisce: fa rumore, strepita ma è solo fumo, non resta niente perché il peccato, l'idolo, il male è solo ombra che svia l'uomo e lo getta nel baratro della non vita. Rimane solo il Signore, l'alfa e l'omega.
Oggi questa parola è consegnata a noi, per liberarci, perché è, come dice la prima lettura, quel Mosè nuovo e definitivo che ci riporta alla terra della libertà, nel Regno.