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TESTO E videro la gloria nel vino

don Angelo Casati   Sulla soglia

II domenica dopo l'Epifania (Anno B) (17/01/2021)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Sento canto e musica, gioia e allegria e festa in questa pagina del vangelo in cui Giovanni racconta il primo segno di Gesù, alle nozze in Cana di Galilea. E mi sembra quasi preludio la pagina dal rotolo di Isaia. Alla fine del brano, dopo aver raccontato i gesti teneri di Dio, Isaia dice: "Il Signore ha parlato. Ecco il nostro Dio". Come a dire: "Ecco il suo volto!". L'innamorata del Cantico dei Cantici spia come attraverso le inferriate e invoca: "Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce". Che cosa ha spiato Isaia? Un Dio che custodisce un futuro di bene per noi. Ed ecco prepara un banchetto universale nel segno della festa. E via tutto ciò che soffoca la vita, via la morte, via le lacrime, le asciugherà su ogni volto, via l'ignominia. E il profeta conclude dicendo: "Dio ha parlato".

Che fascino: "Ha parlato". E parlano di lui non declamazioni vuote, ma i gesti di un Dio che vuole vita, e non una vita da poco, rattrappita, pallida: la solarità del monte. E viene Gesù, viene a Cana di Galilea. Giovanni racconta come se fosse agli inizi della sua missione. Ha fatto qualche incontro per strada, ha chiamato alcuni, in tutto non dovevano essere che un piccolo gruppo. Sono invitati a nozze. Giovanni è il solo evangelista che ne parla e per lui - lo dirà alla fine - quel segno del vino è l'in principio dei segni. Videro la sua gloria. La videro nel vino. Usando la parola "segno", Giovanni ci fa capire che sarebbe riduttivo rimanere al fatto in sé, il fatto parla anche d'altro. Di che cosa parla? Perdonate, io sfiorerò pochi significati tra i numerosi cui allude il racconto.

Domenica scorsa parlavamo di Gesù che si rivela immergendosi nelle acque del Giordano, oggi di un Gesù che si rivela - cioè dice chi è - immergendosi in una festa di nozze. Ho usato il verbo "immergersi" perché andare a una festa di nozze è immergersi in un'atmosfera particolare, imperdibile. E non è che quella festa avesse cambiato connotati o colore, fosse diventata un'altra cosa perché ci era arrivato Gesù. Né prima né dopo il segno. Pensate il colore delle feste di nozze, pensate l'aria che vi si respira, l'ebbrezza delle voci, delle musiche, delle danze. In quei tempi poi, in un piccolo paese, era un evento e si faceva festa per una settimana, una occasione ghiotta. Non è che Gesù cambi colore alle feste e se c'è lui smorziamo i toni e diamoci un certo contegno. A volte lo si raffigura a Cana come in disparte.

No, immerso. Gesù non è uomo a metà, sa piangere con chi piange, sa far festa con chi fa festa. Non tiene distanze nelle feste. Non è forse vero che nel prosieguo della vita lo avrebbero visto sentirsi a suo agio nei banchetti, pure con i peccatori? Ci teneva. E non è forse vero che, quando dai banchetti con i peccatori uscivano voci di festa per le strade, i suoi detrattori si invelenivano e gridavano alla scandalo, allo sconcerto? Penso che nessuno di voi si scandalizzerà per quanto sto per dire - voi non assomigliate ai farisei. Vorrei fare un elogio della spensieratezza. C'è una spensieratezza malata: succede quando vivere da spensierati vuol dire vivere indifferenti a ciò che ci accade intorno. Ricordate la parabola in cui Gesù parla dell'uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente, mentre un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe? Erano i cani per compassione a venire a leccargli le ferite. Gesù condanna l'indifferenza, il senza cuore del ricco. E ci insegna a rifuggirla.

Ma c'è anche una spensieratezza che significa tenere il passo leggero, non appesantire, non contagiare altri di cupezza, non ridurre la vita a obblighi, quasi fossimo chiamati a frenare l'allegria, a sorvegliare la spontaneità. Tutto pesante, e noi pesanti! La festa porta con sé il segreto di snebbiare la mente, allontana la pesantezza, crea pause di respiro, serve a ricrearci, a dare valore anche alle gioie, al piacere. Pensate alla genialità anche psicologica che sta nella introduzione della festa nella settimana. La festa vive di un certa spensieratezza. La festa vive di qualche eccesso, che i falsi devoti senza esitazioni tacciano di "fuori misura". Ma fuori misura è il ripieno di un organo? L'avete mai sentito il ripieno di un organo, la sua festosità? Uno che non sa salpare direbbe: "Ma ci vuole una misura".

Le feste sono sempre un po' fuori misura. Fuori misura, come il vino, anche perché fuori misura è l'amore. E che bello che Gesù, secondo Giovanni sia andato a porre il suo primo segno su una festa d'amore, sulla smisuratezza dell'amore, con un vino smisurato: seicento litri divino. D'altro canto non è forse vero che un amore, se si fa misurato, è in vigilia di perdersi? Infatti può venire a mancare l'amore: "Non hanno più vino. Non hanno più amore". Si possono inaridire, gli amori, possono diventare gelidi come anfore di pietre, imponenti ma vuote. E quando gli amori inaridiscono, tutto diventa grigio, abitudine stanca, monotonia del vivere. Pensate che grazia gli occhi di Maria che si accorgono che non c'è più vino. Che grazia accorgersi in tempo di ciò che fa venir meno l'amore. Maria avverte che si può salvare la festa, la festa dell'amore a patto che si faccia quello che Gesù dirà: "Qualunque cosa vi dica, fatela".

Ma che cosa dice il Signore? "Riempite d'acqua le anfore". Poteva creare vino dal nulla. Lo crea dall'acqua che porti tu. Tu porta l'acqua, "multo utile et humile et pretiosa et casta", l'acqua della tua vita quotidiana, fatta di gesti semplici, di una voce, di uno sguardo, di una carezza, di un'attenzione, di un incoraggiamento, di un investimento in fiducia, di una scommessa sulla libertà dell'altro, dell'altra. Porta l'acqua e abbi fede. Prega. Gesù trasformerà l'acqua in vino. Non verrà meno la festa. Riempi fino all'orlo l'anfora. Vorrei concludere leggendo poche righe di una poesia-preghiera di una mistica del novecento, vissuta per le strade, Madeleine Delbrêl. Mi sembrano in sintonia con i nostri pensieri. Eccole:

Perché io penso
che tu forse ne abbia abbastanza
della gente che, sempre,
parla di servirti con l'aria da capitano,
di conoscerti con aria da professore,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come ci si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno, in cui avevi un po' voglia d'altro,
hai inventato San Francesco, e ne hai fatto il tuo giullare.
Spetta a noi ora di lasciarci inventare,
per essere gente allegra,
che danza la propria vita con te.

 

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