TESTO Commento su Luca 2,1-14
don Walter Magni Chiesa di Milano
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Natale del Signore - messa nel giorno (25/12/2020)
Vangelo: Lc 2,1-14
1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
In questo Natale s'intuisce un contrasto. “In questo inguaribile contrasto tra noi e il dono è la sostanza del Natale, il suo divino significato, il suo segreto. Ma se mi inginocchio davanti al bambino, l'anima mia si placa nel perdono e subito mi ritrovo fratello di ognuno” (P. Mazzolari). E in questo orizzonte, il gesto più semplice e più vero che possiamo fare è quello di inginocchiarci davanti a un Bambino e al mistero grande che ci rappresenta e ci sta a significare.
Chi sei per me?
Se dovessi cercare di dire a me stesso, a ciascuno di voi cos'è mai questo Natale che ancora ci rapisce, che ancora ci consola. Come avesse la forza di riempirmi di una gioia che neppure riesco a spiegare, sento che io non ho parole. Ho bisogno di ricorrere ad altri, come un bambino che solo piange cercando di farsi capire. E sua madre lo sa e subito lo soccorre e lo consola. Perché intuisco con voi quando aveva compreso un giorno un uomo perseguitato e ucciso dalla cattiveria umana: «Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia (“Sermone della 3a domenica di Avvento”, in D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita).
Un bambino che è Dio
E tutto questo proprio stando davanti a un bambino. Un bimbo che piange e sorride, come tutti i bambini del mondo. Che brama con foga il seno di sua madre per nutrirsi. E che poi, quando è ben sazio e soddisfatto, s'addormenta, abbandonandosi sereno tra le braccia di Maria. E anche questo ci sconcerta non poco a ben vedere. Il fatto che a Natale ci inginocchiamo davanti a un bambino. Senza poter distinguere nulla, senza poter vedere nessuna aura di divinità. Come se questa tutta fosse deposta dentro quell'umanità tanto esile e fragile. Dimenticando tante distinzioni tra l'umano e il divino che l'intelligenza credeva di sapere. Perché tutta la potenza di Dio li si nasconde e si fa presente. Come ridotta, annienta, dismessa. Come anche dice Paolo nella lettera ai Filippesi: “spogliò se stesso (eauton ekenosen, ipsum exinanivit) assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (2,6-8). Scriveva Simone Weil che “la bellezza del mondo non è distinta dalla realtà del mondo”. A partire dal Natale, la bellezza di Dio e la Sua grandezza si confondono nella bellezza che innamora di un bambino. Quasi che Dio ci volesse smuovere il cuore, giungendo all'estremo del suo desiderio di attrarci al Suo cuore, sorprendendoci con la tenerezza che proprio davanti a un bambino scoppia e non si può arrestare. Così ti inginocchi e semplicemente stai a guardare. E “Tenda di Dio / sua calda dimora / è la carne vivente / dell'uomo, sua immagine” (A. Casati).
Modulare parole di speranza
Certo la frenesia e la corsa per i regali forse è passata. Ma la tentazione di privilegiare le cose dimenticando i volti potrebbe persistere ancora. “Essere, mio Dio, / asino e bue / col fiato sospeso / a godere il mistero. / Noi siamo, Signore, / il tuo vivente presepe, / siamo la paglia su cui coricarti ancora” (A. Casati). Sarebbe già grazia grande poterci identificare con qualche personaggio del presepe, come l'asino o il bue. O come la paglia, sulla quale Maria adagiava Gesù bambino. E più Lo guardi e già quasi ti sembra di poter fare come i pastori, che avvertiti dall'angelo erano accorsi là, dove dov'era nato. Il fatto è che un Natale così, un Natale di un Dio così vicino, che ci si è fatto sin troppo accanto, questo ci confonde ancora. Forse ci confonderà sempre. Perché ci è chiesto di cercare il divino, l'essenziale, sentendolo mischiato al tran tran del nostro quotidiano. Proprio guardando quel volto, stringendo quella mano, ascoltando quella voce, così umana, troppo umana, ci è chiesto di continuare a scorgere e inventare motivi di speranza. Con la stessa pazienza che un padre o una madre imparano con un figlio da crescere. Quell'essenziale divino che “si scopre poco a poco, alla fine... l'importante è trovare il canto fermo su cui modulare quotidiane parole di speranza” (Ignazia Angelini). In ginocchio, davanti a Gesù bambino, a fronte di un'umanità che spesso piange e si dispera, canticchiamo una ninna nanna a Gesù Bambino dando consolazione piena al nostro cuore.