TESTO Il deserto, prova e speranza
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
II Domenica di Avvento (Anno B) (06/12/2020)
Vangelo: Mc 1,1-8
1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
2Come sta scritto nel profeta Isaia:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
3Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri,
4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ognuno di noi ha il proprio “deserto”. Sarà un breve spazio di tempo nell'arco della giornata ritagliato per stare con se stesso e con i propri pensieri, magari in compagnia di un buon libro o di un po' di musica rilassante, o magari pregando, o facendo qualche particolare esercizio di benessere psicofisico; sarà magari un'attività o un hobby a cui dedichiamo un giorno o anche solo un pomeriggio o una serata nell'arco di una settimana, e che diviene “sacrosanto” nell'economia delle nostre occupazioni quotidiane; a volte, coincide anche con uno spazio fisico, che va dall'intimità della nostra stanza a un angolo remoto della nostra casa dove abbiamo creato il nostro “bunker” - e guai a chi ci entra! - al banco di una chiesa dove ci fermiamo a guardare la luce di un cero che si consuma insieme alla nostra preghiera, a un luogo solitario immerso nella natura (e sul nostro altopiano abbiamo la grazia di averne molti, e molto ameni) dove tutto intorno, il silenzio, ci aiuta a ritrovare noi stessi. Un deserto che conserviamo e custodiamo gelosamente, nel quale davvero non vogliamo che entri nessuno, non per cattiveria o per via della nostra permalosità, ma perché ne avvertiamo la necessità, e se ogni tanto cessiamo di sentire le voci dei nostri figli, genitori, parenti, mariti, mogli, partner, compagni (quasi sempre amabili...) per ascoltare solo il rumore del nostro respiro...beh, credo che davvero ne possiamo trarre beneficio, per noi stessi e anche per le persone con cui condividiamo la vita, che magari ci riacquistano più sereni e meno nervosi, più rilassati e meno stressati, più disponibili e meno tirati. Davvero, il nostro personale deserto è qualcosa che ci aiuta a ritrovare una pace e un benessere interiore che spesso perdiamo in pochi attimi di vita sociale.
Ma c'è un altro deserto, che purtroppo non creiamo né ci ritagliamo noi, e che ci viene offerto - ma forse sarebbe meglio dire “sbattuto in faccia” - dalla vita senza che ce lo andiamo a cercare: ed è un deserto che invece di farci riscoprire la bellezza del silenzio ci fa sentire l'amarezza della solitudine e l'aridità del nulla. Penso anche solo ai tanti momenti che la situazione attuale legata alla pandemia ha fatto vivere e continua a far vivere a ognuno di noi, chi più chi meno, chi in maniera drammatica chi in maniera forse più lieve, ma certamente tocca tutti, quando - volente o nolente - siamo tenuti a rimanere in casa, a isolarci, a rinchiuderci in una stanza, peggio ancora se si tratta di una stanza d'ospedale. E penso pure all'aridità di quei deserti provocati dalla perdita di una persona cara, dalla mancanza di amicizie vere, dallo smarrimento di prospettive di vita legate al lavoro che non c'è o a un futuro che appare sempre più grigio, per sé stessi e per i propri cari. Ma anche al deserto più drammatico, per un credente: quello nel quale, al nostro intorno, scompare proprio tutto, anche Dio stesso; quel deserto nel quale lo invochi, lo preghi, lo gridi, magari anche lo insulti, pur di provocarlo, e lui non risponde...
Oggi, in questi deserti non desiderati, in questi silenzi “nostro malgrado”, in queste lande desolate della nostra solitudine, risuona - come agli inizi della storia della Buona Notizia, e come già prima, ai tempi del profeta Isaia - “una voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Oggi, nel nostro deserto all'interno del quale avvertiamo solo paura e senso di smarrimento, ci si apre di fronte una prospettiva nuova, dataci da una voce, che ottiene anche solo un risultato: farci capire che non siamo da soli, farci capire che anche nell'ora della prova qualcuno che può darci una mano c'è sempre. Nessuno è così ingenuo da pensare che possa bastare una voce - sia pur autorevole come quella di un profeta di Dio - a farci stare bene e a far sparire il nostro senso di solitudine. No, l'ora della prova non ce la toglie nessuno, l'aridità del deserto, nemmeno: ma la voce che nel deserto grida di preparare la via al Signore ci ridona ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno, la speranza.
Guai a noi, dicevo, se pensiamo che si tratti di una bacchetta magica che risolve ogni problema: è una voce che non ci lascia da soli, e che ci dice “preparatevi”. Come?
Ci aiuta l'interpretazione della simbologia che c'è dietro questo brano di Vangelo, con il quale Marco dà “inizio”, dà il via alla “Bella Storia”, al “Lieto Annuncio”. C'è un uomo, di nome Giovanni, un po' selvaggio, uno che oggi forse farebbe anche “tendenza”, sarebbe “trendy” e pieno di fascino, ma che in quei giorni avrebbe affascinato solo chi, nel suo abbigliamento e nel suo stile, sarebbe stato capace di riconoscere il medesimo stile del Profeta per eccellenza, quello con la “P” maiuscola, quell'Elia che sarebbe dovuto tornare ad aprire la strada all'arrivo del Messia. E allora, quella voce non è una voce qualsiasi, è il segno della speranza legata al compimento delle promesse. E questo Elia redivivo è talmente profetico che “battezza nel deserto”, “immerge nell'acqua” proprio nel luogo in cui l'acqua non c'è, per cui è davvero capace di far sorgere vita là dove tutto parla di morte.
Per farlo, però, occorre andare al fiume Giordano, che non è un fiume qualsiasi: fu l'ultimo ostacolo da attraversare perché il popolo dell'Esodo, sotto la guida di Giosuè, potesse entrare nella terra promessa; fu il luogo in cui il profeta Eliseo raccolse il testimone dallo stesso Elia perché la profezia non venisse meno in Israele. A questo simbolico luogo di promesse compiute, immersi nell'acqua dal battesimo da una voce che presto indicherà presente nel mondo il Messia, accorrono non solo dalla regione della Giudea, ma “tutti gli abitanti di Gerusalemme”, gli unici che per chiedere perdono e iniziare un cammino di conversione non avevano certo bisogno di scendere al Giordano, già che avevano il tempio, nel quale offrire sacrifici di penitenza e riconciliazione.
Ma del resto, se vuoi davvero che questa tua vita cambi e che l'ora della prova si trasformi per te in un momento di speranza, devi uscire dalla comodità del tempio, e devi accettare di rimanere nel deserto, di camminare fino alle acque del Giordano, dove verrai “immerso”, quasi “annegato” nel bagno della Grazia di Dio, da un uomo che - nonostante la sua grandezza e la sua importanza - ti insegnerà la via dell'umiltà, perché Colui che verrà dopo, è infinitamente più grande di lui.
Che bella dose di speranza: e siamo solo all'inizio!