TESTO Commento su 2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38
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IV Domenica di Avvento (Anno B) (20/12/2020)
Vangelo: 2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38
26In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Le figure femminili dei Vangeli affascinano coloro che si avvicinano alle Scritture con animo limpido, soprattutto per la formidabile carica d'amore che in esse s'avverte. Gesù stesso ha vissuto questo fascino. Non è un caso che proprio ad una donna, Maria di Magdala, stupenda figura d'amica e di innamorata, Egli abbia per prima annunciato la resurrezione (cf Gv 20).
Maria non fa eccezione. La Chiesa primitiva, sempre molto attenta a decifrare e interiorizzare le figure significative dell'esperienza religiosa, aveva colto la presenza vitale di questa donna affascinante e al contempo misteriosa. Oggi però la figura di Maria pare esiliata dalla nostra esistenza quotidiana. Essa viene spesso caricata di connotazioni poetiche ed idealizzanti, oppure - il che è un altro modo per negarla e rimuoverla dalla concreta esperienza esistenziale del credente - relegata in discutibili apparizioni e in immagini piangenti che nulla hanno da spartire con la gioia del messaggio cristiano che questa donna ci comunica con la sua vita. Le letture di questa Quarta Domenica d'Avvento riportano, per così dire, un po' d'ordine in questa deformazione sistematica dell'immagine della Madre del Signore e ci indicono ad interrogarci su che cosa può ancora dire Maria alla coppia e alla famiglia di oggi.
Mi piace pensare Maria come la casa vivente di Dio in mezzo a noi; Maria madre di umanità. E non è senza significato il severo richiamo che, in 2 Samuele, Dio rivolge al re Davide. Voi siete abituati a considerarmi come un Dio stanziale, immobile, relegato in una casa, ancorché bella, ricca, «di cedro». Ma «Io... non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall'Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Durante tutto il tempo in cui ho camminato insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei giudici d'Israele, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificato una casa di cedro?». No, io sono un Dio che cammina con voi, che attraversa le fatiche del pellegrinaggio, che percorre i viottoli accidentati della storia. Non cercatemi nella tenda, non cercatemi nelle chiese, cercatemi piuttosto nell'umanità che soffre; cercatemi nel ventre gravido delle donne; cercatemi negli ospedali dove la gente muore di Covid; cercatemi in quel popolo che cammina alla ricerca di senso. Maria, casa di Dio. Quando ha capito tutto questo, quella ragazza giovane deve aver provato un brivido di paura. Ma...
Eccomi, sono la serva del Signore:
avvenga di me quello che hai detto
.
La serva, non la schiava. Dio ci vuole servi - servi suoi e dunque gli uni degli altri - non schiavi. Lo schiavo è il servo deformato di un padrone, e Dio non è il nostro padrone. Servire è un atto di dignità, non di sottomissione. Per questo Maria canta un inno al Signore ed Elisabetta la dirà benedetta tra le donne. Canta, perché - come ricorda san Giovanni della Croce - ogni innamorato canta. Maria vive la condizione di innamorata. Il suo canto nasce dal profondo. Dall'essere. Canta un inno a Dio che «ha guardato la tapeinosis della sua serva». A rigore «umiltà» non traduce esattamente il termine greco «tapeinosis». Non umile davanti a un padrone avido ed egoista che la tiene schiava, ma consapevolmente povera e piccola di fronte a un Dio che dalla sua piccolezza trarrà «grandi cose». Quante meraviglie può fare una persona innamorata. La dolcezza, la passione e il tormento dell'amore attraversano il tempo. Giungono a noi con immutata freschezza. Maria ama. Per lei, Giuseppe non è sullo sfondo, c né Dio è sullo sfondo.
Canterò in eterno l'amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà»
Dio non è sullo sfondo; a lui canta la serva innamorata. Canta una storia che è «sacra» perché abitata da Dio e dall'essere umano, in un dialogo talvolta problematico, difficile, ma ininterrotto. Questa donna, ancorché molto giovane, possiede uno straordinario senso della storia, frutto di una tradizione continuamente rinnovantesi nel racconto dei padri. Riecheggia Miriam, la sorella di Mosè, dalla quale sgorga un canto di liberazione e di gioia, dopo il passaggio del Mar Rosso. «Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. Maria fece loro cantare il ritornello: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!”» (Es 15,20-21). Le donne cantano un inno al go'el, il parente prossimo, quello a cui spetta il dovere di difendere i diritti dei più deboli. Che più sono deboli, più sono forti, perché hanno un salvatore potente. Salvatore degli umili, di quelli che non contano, dei deportati, dei fragili, dei disprezzati da chi detiene il potere. «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 96,1). Di generazione in generazione.
... la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni...
Le visioni profetiche stanno per compiersi. È importante ricordarlo in un tempo neo-positivista in cui siamo ormai incapaci di visioni. Si avvera nella storia ciò che aveva profetato Michea: «Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele...». Tutto è piccolo nella Scrittura. È piccola Nazareth, la città di Maria; è piccola Betlemme, la città dove è nato Gesù, il Messia promesso dai profeti; sono «piccoli» i pastori, poveri portatori di speranza. E «piccola» si riconosce Maria stessa, nella piccola Ain Karim con Elisabetta: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà (...la piccolezza!) della sua serva».
Una coppia ed una famiglia possono umilmente riconoscersi in questa piccolezza. Possono riconoscere la perenne fragilità della loro relazione, non per banalizzarla e distruggerla, ma per rinnovarla e ricostruirla ogni giorno. È fuorviante affermare che Maria ha pronunciato un «sì» definitivo. In realtà ha pronunciato il suo «sì» giorno dopo giorno, a mano a mano che accompagnava docilmente con la sua vita l'azione di Dio nella storia umana. Anche per noi, coppie di oggi, la fedeltà «per sempre» è una serie continua e quotidiana di atteggiamenti e di disposizioni fedeli.
L'umiltà di Maria non va però confusa con un atteggiamento remissivo e rassegnato. Maria teneva la testa alta e la schiena diritta, che è poi l'atteggiamento tipico di ogni vero obbediente non alla lettera della legge, ma allo spirito. Sa riconoscere ed accettare l'inaudito che si manifesta in lei. Non pone alcun ostacolo tra sé e la parola del Signore. Accetta cioè il progetto di Dio (un progetto di liberazione) con tutti i rischi che questo comporta: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto...». L'umiltà e la disponibilità, la «piccolezza», la tapeinosis appunto, le hanno consentito di cogliere e di interiorizzare le «grandi cose» che Dio aveva preparato per lei. Tutta la storia della salvezza (anche, e a maggior ragione, degli sposi) gravita attorno a questo movimento: accogliere il progetto di Dio. Da Mosè, a Maria, a Gesù.
Traccia per la revisione di vita
- La nostra tenerezza di coppia e di famiglia è contagiosa? Rivela negli ambienti che frequentiamo l'infinita tenerezza di Dio?
- Le nostre famiglie hanno il coraggio di dire di «sì» al progetto di Dio che si rivela, spesso in modo inaspettato, nel corso della nostra vita di famiglia?
- Siamo capaci di trasmettere ai nostri figli, come Maria a Gesù, il senso della dignità, la capacità di camminare con la testa alta e la schiena diritta?
Luigi Ghia - Direttore di «Famiglia domani»