TESTO La sudditanza dell'Amore
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (22/11/2020)
Vangelo: Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Quando Pio XI istituì la Solennità di Cristo Re al termine dell'Anno Santo del 1925, non fece altro che recepire un sentire comune presente nella Chiesa, in particolare tra le autorità ecclesiastiche, già dai tempi di Leone XIII, ovvero alla fine del secolo precedente. Questo sentire comune avvertiva l'avanzata di una sorta di “laicismo cattolico” (come lo definì lo stesso Pio XI), cioè di un atteggiamento presente in molti cattolici di quel tempo - soprattutto cattolici impegnati in ambito sociale e politico - che avevano fatto proprio il laicismo tipico degli stati europei di quell'epoca: un laicismo che tendeva a escludere Dio e la religione dalla società, intesa come struttura sociopolitica ed economica. I cattolici laicisti non escludevano certo Dio dalla loro pratica religiosa, ma tendevano a relegare “le cose di Dio” e gli insegnamenti del Vangelo da tutto quello che era l'apparato della vita sociale, politica ed economica: in pratica, un conto era la vita di fede e la pratica religiosa, e un conto era la vita sociopolitica ed economica, che doveva essere svolta in totale autonomia dai principi evangelici. Anzi, la situazione ideale si sarebbe creata allorquando la Chiesa - intesa soprattutto come istituzione e gerarchia - non solo non si fosse opposta a politiche di tipo liberale, ma addirittura fosse arrivata ad approvarle e a benedirle, prendendo così le difese dei nuovi poteri politici che si stavano instaurando in quell'epoca: poteri che - pur agendo in maniera indipendente - avrebbero assicurato alla Chiesa il mantenimento dei propri privilegi. Le conseguenze di queste idee potevano essere (e di fatto lo furono) nefaste: questo laicismo imperante di fronte al quale molti cattolici non solo non si opposero, ma addirittura diedero il loro assenso, portò di fatto all'instaurazione di quei regimi totalitaristi (di qualsiasi colore o connotazione politica) che fecero cadere l'Europa e il mondo intero nel baratro delle due Guerre Mondiali.
Era comprensibile, quindi, che papa Pio XI, preoccupato di questa situazione, passasse “al contrattacco” puntando sulla Liturgia, che era l'unico strumento attraverso il quale ancora la Chiesa riusciva a raggiungere le masse: per questo, festeggiare la chiusura dell'Anno Liturgico sotto la protezione di Cristo Re dell'Universo voleva dire ricordare ai fedeli che non c'era altro potere al mondo, in ogni ambito della società, se non il potere di Cristo, unico Sovrano al quale sottomettere le nostre vite.
Oggi, a un secolo ormai dalla sua istituzione, qual è il senso che possiamo continuare a dare a questa celebrazione? Di certo, il contesto laicista non è affatto venuto meno, anzi, per certi aspetti, è pure peggiorato: perché il “laicismo cattolico” di quell'epoca si è trasformato in “laicismo” e basta, o ancor peggio in “basta”, cioè in una totale apatia, disaffezione e indifferenza verso “le cose di Dio”, “le cose della fede”, il messaggio evangelico. Certo, è un discorso che non dovrei fare ai fedeli che sono riuniti come ogni domenica a celebrare la Liturgia, a partecipare alla Santa Messa, perché chi viene in chiesa si spera che ancora un minimo di sentimento religioso ce l'abbia. Eppure, anche noi che partecipiamo più o meno assiduamente alla Liturgia domenicale, siamo figli della nostra epoca, pervasa di quel laicismo che esclude Dio, Gesù Cristo e il Vangelo dalle sue scelte; e non è così inusuale che noi stessi ci troviamo spesso a fare delle scelte e ad assumere comportamenti che non mettono proprio Gesù al centro della nostra vita, che non fanno di lui il Re e Signore delle nostre giornate e delle nostre opere.
Questo lo vediamo in particolare nella frattura - a volte davvero stridente - tra la nostra pratica religiosa, assidua, costante e anche molto vera e sentita, e la nostra vita di ogni giorno, dove il nostro sentire cristiano non è capace di mettersi al servizio di Cristo Re. Perché mettersi al suo servizio significa - ce lo dice il vangelo di oggi - mettersi al servizio degli altri: ma non di “altri” in senso generico, e nemmeno di chi rientra nella generica categoria del “prossimo”. Gli “altri” dei quali dobbiamo metterci al servizio (perché servire loro significa servire Cristo Re) sono elencati in maniera puntuale e fin troppo chiara dal brano di Vangelo di Matteo, che con questa lettura noi salutiamo dopo un anno in sua compagnia: gli altri sono gli affamati, gli assetati, gli stranieri, quelli che non hanno da vestirsi, i malati e i carcerati. Potremmo aggiungerne molti altri, è vero: ma il vangelo di oggi ci dice che il giudizio finale di fronte al nostro Re e Signore, che valuterà il nostro essere cristiani, verrà effettuato su questi temi.
Leggiamo e rileggiamo quanto vogliamo questi “capi d'imputazione”, ma non troveremo nulla che riguarda la nostra pratica religiosa... Come mai? Io non so dare una risposta, glielo chiederò quel giorno come mai non terrà conto delle tante messe celebrate e ascoltate, dei tanti rosari recitati e delle tante ore di adorazione eucaristica vissute: quel che è certo, è che se avremo dato da mangiare a chi aveva fame, se avremo dato da bere a chi aveva sete, se abbiamo accolto gli stranieri, se abbiamo dato vestiti a chi ne aveva bisogno, se abbiamo fatto visita e assistito i malati e se abbiamo portato conforto ai carcerati, saremo benedetti da Dio. Se non l'avremo fatto, saremo maledetti: ma attenzione, non maledetti “da Dio”, perché Dio benedice solamente. “Maledetti” lo saremo dalla vita stessa: perché una vita senza carità e senza amore è la peggior maledizione che si possa provare, e non si tratta dell'eternità, ma della vita presente.
Vogliamo l'eternità? Vogliamo entrare nel Regno preparato per noi da sempre? Serviamo il nostro Re nei suoi e nostri fratelli più piccoli, e non cerchiamo di giustificarci dicendo che non abbiamo potuto fare del bene perché “non ce n'eravamo accorti”: perché a forza di peccati di omissione diventiamo complici di tutti i mali sociali presenti nel mondo. E alla fine della nostra vita, ricordiamoci che se non abbiamo usato misericordia, non c'è misericordia divina che tenga o che possiamo invocare su di noi!