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TESTO Il nostro sì alla terra

don Angelo Casati   Sulla soglia

I domenica T. Avvento (Anno B) (15/11/2020)

Vangelo: Mc 13,1-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,1-27

1Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».

3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

5Gesù si mise a dire loro: «Badate che nessuno v’inganni! 6Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori.

9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.

14Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda –, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!

18Pregate che ciò non accada d’inverno; 19perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.

21Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; 22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. 23Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

Perdonate la presunzione. Leggendo i testi di questa liturgia, mi è venuto da pensare che anche la liturgia dovrebbe vivere sotto le tende, e non immobilizzata in un lezionario. Mi domando: "Avevamo proprio bisogno di queste immagini terrificanti in giornate come le nostre?". Certo tu mi dirai che non vanno prese alla lettera, appartengono infatti al genere letterario apocalittico. Ma, perdonate, oggi, per come sono fatto - magari sbagliato! - io sento bisogno di immagini altre. Vorrei dire che di immagini di paura ce n'è fin troppe nell'aria. Non c'è proprio bisogno di aggiungerne altre.

Pensate solo all'inizio del brano di Isaia: "Io dico: "Guai a me! Guai a me! Ohimè!"". Se l'avvento è attesa, non può essere attesa del terrore. Possiamo forse coltivare attesa del terrore? Se mai l'invito, per noi che crediamo nel ritorno del Signore, è a non cedere al pessimismo, alla seduzione dei poteri forti, alla manipolazione, per menzogna, da parte di quelli che, loro sì, sanno come si salva la terra. A parole. Ma sto pensando come a volte anche questo compito, pur urgente, ci affatica, perché viviamo nella complessità.

Ebbene oggi tra le letture proposte vorrei indugiare sul salmo. Non lo faccio quasi mai e vi chiedo perdono. Anche se vi devo confessare che mi prende brivido quando lo sento interpretare qui, la domenica, dal Maestro Philip con la sua voce. Vorrei fare mia, con voi, questa preghiera. Con una premessa doverosa che "Dio degli eserciti" in ebraico significa "Dio delle schiere celesti", nulla di bellicoso.

Ritraduco così e prego con voi: Dio delle schiere celesti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio delle schiere celesti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Voi mi capite, credo in un Dio che ritorna, ma non per radere al suolo; credo in un Dio che guarda dal cielo, ma non per incenerirci; credo in un Dio che vede, sì anche un filo d'erba, e visita, ma non da turista questa terra, che protegge quello che ha piantato dando impulsi al seme che cresce. Sì, faccia splendere il suo volto e noi saremo salvi.

Vi dicevo che ho bisogno di immagini positive e sento il bisogno di rimandare immagini positive. Si sta diffondendo infatti un clima di scoramento, di pessimismi, di resa se non di disfattismo, di accuse reciproche, di toni urlati, di cattiveria, parole senza rispetto. Quasi avessimo disimparato a incoraggiare, a prenderci cura insieme della casa comune, al di là delle fedi, al di là dei colori. Sta prevalendo il maschile, stiamo ancora una volta cancellando la voce delle donne, quelle pure da contagio maschile.

Ebbene proprio per fare nido a immagini che fanno pulsare fiducia nonostante tutto, vorrei ora lasciare i testi sacri e raccontare due storie, una risale al secolo scorso, l'altra è dei nostri giorni. La prima viene a dirci che si può osare segni di bellezza, la bellezza dell'amore, anche in tempi di immani tragedie. La voce appartiene a un pastore, che molti di voi conoscono, Dietrich Bonhoeffer, teologo e pastore della chiesa confessante tedesca, giustiziato su ordine di Hitler il 9 aprile 1945. La lettera è dell'agosto 1943 dal carcere militare di Tegel-Berlino, ed è indirizzata a Maria von Wedemeyer, una ragazza diciannovenne che Dietrich aveva da poco fidanzata.

Scrive: "Non puoi assolutamente comprendere che cosa significhi nella mia attuale situazione l'avere te. Sono certo di essere sotto la speciale guida divina. Il modo in cui noi ci siamo trovati, e il momento, così prossimo al mio arresto, ne sono per me chiare prove... Ogni giorno mi sorprende quanto sia immeritata la felicità che ho avuto... Se poi penso alla situazione del mondo, alla totale oscurità che avvolge il nostro destino personale e alla mia attuale prigionia, credo che la nostra unione - se non è stata una leggerezza e sicuramente non lo è stata - può essere soltanto un segno della grazia e della bontà di Dio, che ci chiama alla fede. Saremmo ciechi se non lo vedessimo.

Geremia, nel grave bisogno del suo popolo, dice che "in questo paese si devono ancora comprare case e campi", come segno della fiducia del futuro. Per far questo ci vuole fede; che Dio ce la doni ogni giorno. Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, saranno con piede solo anche in cielo...".

Immagino che voi tutti abbiate colto quale segno di fiducia sia, in stagioni di inimmaginabili preoccupazioni, vedere donne e uomini innamorarsi, comprare case e campi, cioè operare e creare qualcosa sulla terra. Restare fedeli alla terra. L'altra voce è dai nostri giorni. Voi sapete come, tra i discorsi che ascoltiamo in questi giorni, non raramente ci capiti di sentire voci preoccupate per il futuro delle nuove generazioni che, si dice, porteranno segni di indubitabili devastazioni psichiche. C'è del vero. Ma forse non dobbiamo dimenticare quanta segreta fonte di rinascimenti abiti il corpo e l'anima delle ragazze e dei ragazzi di ogni tempo.

Le parole che ora vi leggerò sono di una ragazza diciassettenne della nostra città. Accadde due mesi fa, erano in quattro ragazzi su monti a noi vicini, entusiasti, amici. Il passaggio tutt'altro che difficile, quando Margherita scivolò su una zolla d'erba. Precipitò. Ogni soccorso si rivelò impotente. Aveva scritto un credo. Che suona come una sconfessione al tarlo delle nostre depressioni. Io ci ritorno spesso. Ci servirebbe riascoltarlo. Non c'è il nome di Do, ma è in ogni parola. Ecco il credo. Di Margherita.

Credo nell'amicizia,
perché è ciò che mi ha fatto arrivare fino a qui
e sta alla base di ogni rapporto umano;
Credo nel dialogo, che è il mezzo che uso di più
per confrontarmi con chi mi sta intorno;
Credo nel soccorso e nell'aiuto degli altri;
Credo nella felicità;
Credo nello stare insieme;
Credo nella semplicità delle piccole cose,
che possono rendere grandi le persone;
Credo nella libertà e nella pace,
perché sono a fondamento di ogni società civile
e creano indipendenza;
Credo nell'indipendenza.

 

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