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TESTO Commento su Marco 13,1-27

don Walter Magni   Chiesa di Milano

I domenica T. Avvento (Anno B) (15/11/2020)

Vangelo: Mc 13,1-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,1-27

1Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».

3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

5Gesù si mise a dire loro: «Badate che nessuno v’inganni! 6Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori.

9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.

14Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda –, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!

18Pregate che ciò non accada d’inverno; 19perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.

21Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; 22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. 23Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

Inizia l'Avvento Ambrosiano e la liturgia si ripeterà con insistenza: svegliati, alzati, tieniti pronto: il Signore viene, sta per arrivare. Ma Gesù, nel Vangelo di questa Prima domenica di Avvento, con toni apocalittici sembra come indicarci una strada da percorrere, come una strettoia da attraversare per arrivare a vederLo in tutto il Suo splendore. La strada, la strettoia della fatica, del dolore e della morte. Questo ci affatica non poco e ci carica di una attesa che s'intreccia con la paura.

Può fare paura il Vangelo?
Gesù, nel vangelo di oggi non ha mezze misure. Ci anticipa la distruzione del tempio di Gerusalemme, il luogo dove Si recava spesso e volentieri a pregare e dentro di noi scatta il pensiero che, nel contesto di questa pandemia che ci costringe a rinchiuderci nelle nostre case, forse anche noi potremmo faticare a raggiungere le nostre chiese per celebrare, per rivolgere a Dio le nostre attese e le nostre speranze. Che futuro sarà per le nostre comunità cristiane, per le nostre parrocchie?
E poi Gesù non si trattiene nel parlarci di terremoti e di carestie, di persecuzione e di lotte fratricide sin dentro le nostre famiglie. E certe parole ci fanno male dentro mentre Gesù ci parla dell' “abominio della devastazione”, dei “giorni della tribolazione” nei quali “sorgeranno falsi cristi e falsi profeti”. Persino “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Tanto che il Vangelo di Luca, in un passo parallelo, dice che addirittura “gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” (21,25-26). Di quale paura stiamo parlando? Forse non è più la paura del buio che provavamo da bambini. Forse non si tratta soltanto della paura di ciò che ci sta attorno e che in modo imprevedibile ci attacca e potrebbe farci male. Neppure è la paura di un virus invisibile che temiamo di non saper fronteggiare con tutta la scienza e il sapere medico accumulato nel tempo. È una paura più profonda che ci portiamo dentro, che ci abita nel cuore e nella mente.

Le paure che ci abitano
Quali sono le paure che abitano i nostri cuori, e ci chiudono al mondo, ci paralizzano, limitandoci nelle nostre espressioni e nei comportamenti? Ne potremmo elencare molte, ma decidendo anzitutto di andarle a scovare dentro di noi. Paure come quella di vivere o di morire. La prima ci blocca nell'affanno quotidiano, quando ci dimentichiamo che Dio Si occupa di noi, ha cura delle nostre giornate ansimanti, magari un po' rallentate dal lockdown forzato al quale ci sta obbligando anche questa pandemia. Mentre la seconda è la paura di morire, di non essere più, di finire con l'ultimo sospiro esalato. Come anche diceva Pierre, il protagonista ammalato di un romanzo intitolato Il tempo è un Dio breve (Maria Pia Veladiano, 2012): “La paura è una malattia dello spirito. È il cuore di tutti i dolori: paura di perdere chi si ama, di morire, di soffrire. Non ha bisogno di sventure concrete per alimentarsi, le bastano i fantasmi della nostra immaginazione. Guai a sentirsi davvero soli”. E mentre guardi o pensi a un malato che non sei tu, ancora una volta cerchi un diversivo per non guardarti dentro, col timore di dover rispondere a domande che da anni premono alle porte del tuo cuore. Interessante accorgersi che il termine paura ha la stessa radice di pavimento (lat: pavére: battere il terreno per livellarlo) e il terrore ha il sapore della terra. Come se in ultima analisi la radice ultima delle nostre paure stesse anzitutto nel timore d'essere atterrato, calpestato, dimenticato. La paura della solitudine: d'essere messo definitivamente da parte. Rottamato, come direbbero oggi purtroppo.

Il vangelo dell'antipaura
Ora, che cosa ci dice in profondità Gesù nel Vangelo di oggi? Ci lascia lì, stesi sul pavimento della nostra solitudine, appiattiti, atterriti, senza speranza? Potremmo, ad esempio, fare un esercizio interessante: rileggere il Vangelo odierno mettendo in fila, elencando tutti i verbi più incoraggianti che troviamo giungendo a comporre una sorta di evangelo dell'antipaura. È Gesù, infatti, che oggi dice: “che nessuno vi inganni”; “non allarmatevi”; “non preoccupatevi”; e se anche vi parlassero di altri cristi “voi non credeteci”. Gesù, pur davanti allo sconvolgimento del mondo e alle nostre paure più profonde e umanamente insanabili, non ci regala formule magiche, rimedi illusori. Semplicemente ci direbbe con grande schiettezza: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Intuendo che l'evangelo dell'antipaura comporta saper guardare Gesù negli occhi, mentre ci ripete: “Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21.28). Alziamoci, andando oltre le nostre lamentele e rassegnazioni. Ritroviamo il gusto della speranza dentro le nostre comunità, dentro le nostre case. Decidiamoci a riconoscere la presenza misteriosa e potente di Gesù nei poveri e nei sofferenti. Ritorni a brillare nel vostro sguardo l'attesa gioiosa del Signore. E là dove forse ancora sentiamo risuonare parola di lamento, torniamo a regalare vicinanza concreta, solidarietà sincera. Non aspettiamo che qualcuno ci venga incontro. Decidiamo noi di fare il primo passo nel Suo nome.

 

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