TESTO Commento su Luca 14,1-6
Paolo Curtaz Ti racconto la Parola
Venerdì della XXX settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (31/10/2003)
Vangelo: Lc 14,1-6
Giovedì 30a ordinario - 31/10/2003
Tutti tacciono: davanti all'immenso buon senso di Gesù c'è poco da dire, meglio tacere per evitare di fare peggiori figure... Di nuovo, come qualche giorno fa', Gesù analizza lo sretto rapporto tra fede e abitudine, fra norma e libertà, fra regola e Dio. E questo rapporto, amici in ascolto – ahimé – non riguarda i non credenti ma proprio noi che – con semplicità – abbiamo conosciuto il Rabbì e vogliamo essere suoi discepoli fino in fondo amarlo e seguirlo. La fede riguarda più la dimensione dell'intuito, dell'emozione, dell'abbandonarsi, all'inizio almeno. Poi, col passare del tempo, come ogni realtà umana, si organizza, si struttura, si abitua. E' normale, è giusto: serve un contenitore per le emozioni, un percorso per la conversione. Il rischio – lo dice Gesù – è di perdere di vista la ragione finale, concentrarmi sul lavare i piatti e la pulizia del lavello piuttosto che sul fatto che faccio da mangiare ai miei per testimoniar loro amore. Disegnare dei territori in famiglia piuttosto che ricordare che generare non significa tout court essere genitori. Così la fede, anzi peggio. Peggio perché diamo un'aura di religiosità e divinità alle scelte che – il più delle volte – sono storiche, passeggere, penultime. Gesù richiama i farisei, e noi al senso profondo del rispetto del riposo dello shabat. Israele doveva ricordarsi di essere stata in schiavitù e gli schiavi – si sa – non riposano, i figli sì. Perciò le minuziose prescrizioni che giungevano a stabilire il numero dei passi che si potevano compiere di sabato avevano fatto perdere l'orizzonte del bene, la libertà del cuore. Guarire un amalto era ed è un gesto di amore, non un lavoro che vìola il sabato!
Libero, sei sorprendentemente libero, Signore. Lode a te.