TESTO Commento su Matteo 22,34-40
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/10/2020)
Vangelo: Mt 22,34-40
In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Gesù dimostra una grossa capacità, che nessuno nella storia è mai riuscito a imitare: quella di unire gli estremi.
Sembra proprio così perché l'altra volta, infatti, farisei ed erodiani si erano alleati pur nella loro distanza perché i primi non possono vedere di buon occhio l'occupazione ad opera dei romani della Palestina mentre i secondi ne sono sostenitori. Questa domenica i farisei, che sono convinti della risurrezione dei morti, si alleano con i sadducei che la negano.
Dal brano del Vangelo di domenica scorsa a quello di questa c'è un salto liturgico. I sadducei vogliono mettere in imbarazzo Gesù dimostrando l'assurdità, a loro parere, della resurrezione sottoponendo la casistica della vedova e i sette mariti. Occasione ghiotta per i soliti farisei di cercare alleati contro Gesù. Si fa largo un dottore della Legge che sottopone una domanda, con la solita tecnica della captatio benevolentiae. Quel tale chiama Gesù Maestro per poi cercare di metterlo in difficoltà, così pensa quell'esperto fariseo.
La domanda che sottopone a Gesù è molto semplice: “Qual è il più grande comandamento della Legge?”. La risposta del Maestro non si fa attendere e la conosciamo tutti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Rabbi Simlaj disse: “Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell'anno solare, e 248 positivi, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano... Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, come sta scritto [nel Sal 15]... Poi venne Isaia che li ridusse a 6, come sta scritto [in Is 33,15-16]... Poi venne Michea che li ridusse a 3, come sta scritto: ‘Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio?' (Mi 6,8)... Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, come sta scritto: ‘Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia' (Is 56,1)... Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, come sta scritto: ‘Il giusto vivrà per la sua fede' (Ab 2,4; cf. Rm 1,17; Gal 3,11)” (Talmud babilonese, Makkot 24a).
Gesù va al cuore di tutta la casistica e si rifà a Dt 6,4-5: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. E unisce Lv 19,18: Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.
Le due dimensioni non possono subire scissione alcuna sono strettamente unite. Amare Dio e amare il prossimo sono due aspetti fondamentali che evitano derive idolatriche o filantropiche. Le prime distolgono dalla visione corretta di Dio perché ci offrono una immagine distante, la seconda invece ci indirizza agli uomini dal punto di vista emotivo, ma quando le emozioni vengono meno allora il nostro impegno si affievolisce.
Amare Dio e amare il prossimo strettamente uniti ci offre il giusto orientamento della nostra esperienza cristiana. Il prossimo non va inteso alla maniera levitica. Con Gesù il prossimo va oltre il proprio clan. Israele intendeva questo amore come riferito ai propri connazionali. Tuttavia, anche nel pensiero ebraico si è giunti a una maturazione.
Il libro del Siracide al capitolo 13 versetto 18 afferma: La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente. Certo non vuol dire trascurare chi ci è più vicino. Molto spesso pensiamo al povero dell'Africa, ma poi c'è difficile ravvisare il bisogno di chi ci vive accanto come familiare, amico o prossimo di casa. Tuttavia, il nostro cuore deve aprirsi anche alle necessità dei fratelli più lontani.
Colpisce l'attualità dirompente del Libro dell'Esodo che indica tre categorie: il forestiero, l'orfano e la vedova. Queste ultime due ci sono più familiari. Il forestiero in ogni cultura viene visto con diffidenza e sospetto. Non è semplice, ma Dio offre una lezione al popolo li invita a ricordare che anche loro sono stati forestieri in Egitto. Una lezione per tutti noi che non siamo stati più di tanto forestieri, ma il ricordarci che siamo stati amati ancor prima di amare coLui che ci richiede di essere ricambiati in questo amore ci riporta ad amare a nostra volta.
In sintesi, una persona dona amore se ha sperimentato per primo l'Amore. Noi amiamo Dio perché Dio ci ha amati per primo. Molta acredine che oggi respiriamo nasce da questa incapacità di aver sperimentato il fatto di essere stati abbracciati da questo Amore.
Recuperiamo allora preparandoci alla festa dei Santi, uomini e donne di diverse stati di vocazione, che hanno compreso di essere stati amati da Dio e hanno cercato di donare questo Amore con le loro virtù eroiche e qualcuno anche donando la vita completamente. Hanno risposto alla chiamata di Dio nel battesimo in mezzo alle tante difficoltà, ma comprendendo che attingendo da Lui si può essere a nostra volta portatori di questo Amore.