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TESTO Non dimenticare, mai, la casa di Cesarea

don Angelo Casati   Sulla soglia

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I domenica dopo la Dedicazione (Anno A) (25/10/2020)

Vangelo: Lc 24,44-49a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Sono parole ultime, di Gesù, quelle che oggi abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca. Le ultime non le puoi impallidire. E io non so se gli undici e coloro che si erano riuniti con loro in quel giorno, giorno di accadimenti inimmaginabili, le abbiano percepite come ultime. La sbalordimento fu tale che, lì per lì, il risorto, lo avevano preso per un fantasma. Lui, a rassicurarli, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Quelle che oggi abbiamo letto sono parole dopo il pesce arrostito. Di lì a poco sarebbero usciti, li avrebbe condotti fuori verso Betania e li avrebbe lasciati con una benedizione, mentre veniva portato in alto.

Parole dopo il pesce arrostito prima della mani in benedizione dall'alto. Sbalorditi per quella risurrezione, ma sbalorditi anche per quella missione che veniva loro affidata. Era da svenimento. Predicare a tutti i popoli. Piccolo inciso: il verbo greco sa meno di predica, sa più di annuncio. L'annuncio da trasmettere. Da quella casa a tutte le case del mondo. La sproporzione era tale da togliere il fiato. Per questo Gesù dise loro che attendessero lo Spirito. Immagino si guardassero in faccia, e si guardassero dentro. Undici e pochi altri, a contenerli bastava una casa. E quante erano le case dei popoli, le case del mondo? Annunciare a cominciare da Gerusalemme. Ma poi fuori.

Un invito da sbalordire, anche perché la fede dei padri da sempre era stata contenuta in confini. Se mai, i popoli arrivassero, loro, a Gerusalemme. No, ora da Gerusalemme si parte, destinazione tutte le nazioni. Vi confesso che leggendo il brano di Luca pensavo a quella casa, e all'affidamento dell'annuncio. Quell'annuncio - mi dicevo - è arrivato alla mia casa! Disse loro: "Voi siete testimoni". Non erano certo immortali, ma da loro. da testimoni in testimoni alla mia casa. Mi perdo a immaginare visi di donne e uomini. Per un mistero che non è nelle nostre mani, la parola è arrivata. E tu fatti testimone, non predicatore, testimone, il testimone non è quello delle prediche, è quello del racconto, si racconta ciò che nonostante debolezze e fragilità, per grazia ci è arrivato.

Se penso a questo cammino iniziato quella sera non posso che chiamarlo miracolo. Mi riempio di stupore: è giunto a me, a noi. Mi dico anche che bisogna guardarci dal pericolo che il passaggio di testimone in testimone sia interrotto. Altre case, in altri tempi. Ci tocca essere testimoni, raccontare. Raccontare con la vita. Facendo tesoro delle parole di Ignazio di Antiochia, grande padre della chiesa: "Meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo e non esserlo". Ora vorrei indugiare con voi sul brano degli Atti degli apostoli, sulla casa di Cornelio. Ci sono case nei testi sacri cui va una passione per me ingualcibile. Una è la casa di Cornelio, a Giaffa, la casa di un centurione pagano. E' una storia di case, di visioni di angeli, di passi. E le case si aprono.

Il centurione ha una visione, gli viene detto di far venire in casa sua Pietro, che è ospite a Giaffa, di Simone, un conciatore di pelli. Anche Pietro ha una visione, che ha dell'inimmaginabile: l'angelo gli dice che arriveranno inviati del centurione, gli dice anche che deve guardarsi dal chiamare profano o impuro nessun uomo. Parole a lungo dimenticate. Pietro - la cosa ha dell'incredibile - li accoglie in casa. Accoglie quelli che la sua tradizione diceva impuri, li ospita e il giorno seguente li segue sino a Cesarea ed entra - anche questo ha dell'inimmaginabile - nella casa di Cornelio.

Storia di case che si aprono al diverso, quella di Giaffa, quella di Cesarea. E nella casa di Cesarea Pietro racconta la visione e racconta di Gesù. Stanno in ascolto. Ed ecco succede altro. Altro che ha dell'incredibile. Riascoltiamo: e sia a memoria: "Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo". Io mi chiedo se la casa di Cesarea l'abbiamo tenuta negli occhi o l'abbiamo cancellata. Quella casa ci dice che anche su chi non è battezzato, su chi non fa parte della chiesa, è sceso lo Spirito. Su chi non è - perdonate la brutta parola - dei "nostri".

Siamo dei poverini, sì, proprio dei poverini se lo Spirito lo confiniamo nelle nostre clausure. Se non riconosciamo che nessuno è vaso vuoto, che c'è da imparere sotto tutti i cieli. Noi di questa città abbiamo avuto un dono prezioso: aver avuto un Vescovo, il Card. Martini, che, fedele a questa parola, ci insegnò questo sguardo aperto, pronto a riconoscere lo Spirito nel cuore di credenti, non credenti, diversamente credenti. Ce lo ha insegnato. Chissà se ne abbiamo fatto tesoro. Ce lo ha insegnato inventando - pensate - la "cattedra dei non credenti". Possiamo mandare in cattedra i non credenti: sono abitati dallo Spirito, e non siamo noi a portarglielo: hanno qualcosa da raccontarci, così come noi noi abbiamo qualcosa da raccontare a loro. Poverini, se ci capita di confinare lo Spirito. Che brutto servizio gli facciamo.

Vorrei ricordare qui un passaggio di una lettera pastorale del card. Martini, "I tre racconti dello Spirito". Parla di una convinzione profonda, maturatasi in lui presto, ma verificata attraverso l'intero percorso della mia vita. Quale? Eccola. "La convinzione che lo Spirito c'è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C'è e non si è mai perso d'animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato".

So che la mia testimonianza è piccola, sì, piccina, a fronte di quella del Cardinale, ma vorrei fare eco ora, dicendovi di quante volte, nella mia vita di prete, mi è toccato stupore nello scoprire luci dello Spirito là dove ambienti clericali denunciavano ottusamente il vuoto. Ne gioivo, vorrei che imparassimo tutti a riconoscere e a gioire. E vorrei pregare che, pur vecchio, ancora sappia gioirne.

Non dimenticare, mai, la casa di Cesarea.

 

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