TESTO Commento su Ml 1,14- 2,2.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12
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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/11/2020)
Vangelo: Ml 1,14- 2,2.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12
In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Quest'anno letture della XXXI domenica fra l'anno collimano perfettamente con la festa di tutti i Santi, ma prima di introdurci nel commento specifico di questa domenica, una breve disgressione sui Santi. Che cosa vuol dire essere - diventare - “santi”?
Nella Bibbia, ci dice Don Pier Giorgio, ci sono due concezioni di Santità.
Antico Testamento, “Santo” è la persona, o la cosa, diversa, separata, lontana, che incute rispetto e timore se non paura: davanti ad essa vado a testa china, mi tolgo i sandali; se la tocco, mi “brucio”, resto fulminato; così Dio: tre volte Santo (Is 6,3).
Nello stesso tempo però il “Santo” affascina, perché è potente, è una forza “magica”, di cui desidero impadronirmi per avere i favori, con riti, preghiere, gesti sacrificali, ma anche: timore e desiderio, ripulsa e supplica.
Nuovo Testamento, colui che è il “Santo” non è più il lontano, l'inaccessibile, terribile e fascinoso, ma è “colui che si fa vicino all'uomo per portargli la salvezza”. “nessun popolo ha avuto un Dio così vicino come il nostro” (Dt 4,7).
In Gesù, Dio non solo si fa vicino all'uomo, ma si fa uomo, l'Emanuele (Dio con noi): si fa vedere, non spaventa più, si lascia toccare (e non fulmina, ma guarisce), si lascia persino picchiare (e perdona), si fa debole e povero, perde il suo aspetto fascinoso; non promette miracoli, ma si china sul povero, afflitto, oppresso, per portargli liberazione e salvezza.
Quindi in Cristo il “Santo” è il “diverso” per la sua straordinaria capacità di amare, di condividere, di perdonare, di essere sostanza più che forma.
Riprendendo la XXXI domenica fra l'anno, possiamo dire che la tematica che collega le letture domenicali alla festa di Tutti i Santi è “la forma e la sostanza”, oggi più che mai attuale, in una realtà relazionale sempre più fatta di “impressione, di forma, di momento, di apparenza, di istantanea”, di comunicazione trasmissiva e meno generativa.
Oggi queste letture domenicali mettono il dito in una piaga che riguarda sì tutti noi, ma in special modo riguarda tutti coloro che, a qualsiasi titolo, hanno un'autorità, un potere, un ruolo, che hanno a che fare con persone loro affidate, sia nell'ambito socio-laicale che nell'ambito socio-religioso, e che sono chiamate ad educarle e formale, a cominciare dalla famiglia, al politico, all'ecclesiastico secondo il ruolo a cui si è chiamati.
Il rischio dell'interpretare il ruolo assegnato dalla vita è che lo stesso diventi “corazza” giustificativa, di sicurezza, che ci fa sentire qualcuno, facendoci dimenticare da dove e come siamo partiti, ma soprattutto a che cosa si era chiamati a compiere: un “Servizio”.
Gesù si rivolge ai farisei e scribi di allora, ma che potremmo tranquillamente mutuare nella nostra realtà: ”Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo...” (Mt. 23,11), ma ho l'impressione che questa “sostanza” cozzi tremendamente contro la “forma” a partire dai vertici della Chiesa a quelli della Politica, e giù a cascata, perfino nella famiglia stessa, si rivendica il “proprio ruolo” per il quale si agisce.
Ecco, Cristo ci chiama a vivere non a progetto, a scadenza, ma a vivere in continuità per Dio, con Dio e in Dio attraverso il riconoscerlo come “Padre” e riconoscere gli altri come “Fratelli”, da cui passare per compiere il nostro servizio d'amore, di carità, con umiltà e concretezza.
Domanda
Come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità,
- il nostro dire, il nostro fare, quanto vogliamo che siano pura forma e quanto vogliamo veramente che siano sostanza?
- il nostro atteggiamento verso Dio, il mondo dell'aldilà (santi, angeli e quant'altro) è ancora segnato da un misto di paura reverenziale e un desiderio di miracoli, quasi un senso magico se non addirittura superstizioso o scaramantico della santità? Riflettiamo.
Claudio Righi