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TESTO Amore di ascolto, di fede e... di croce

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/10/2020)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Il libro dell'Esodo, da cui è tratta la prima Lettura, ai capp. 20 - 22 riporta il codice dell'Alleanza, che comprende oltre 600 prescrizioni a parte il famoso Decalogo dei dieci comandamenti. Si tratta effettivamente di moniti, protocolli, proibizioni e ingiunzioni a volte tassative, che regolano il comportamento di ogni Israelita nei rapporti con Dio, con il prossimo e nella società.

Nel comunicare a Mosè tutte queste prescrizioni Dio si era rivelato come Unico Signore assoluto che esigeva rispetto e sottomissione, tuttavia era anche il Dio amore e misericordia che, proprio nella sua Alleanza con Israele, cercava il bene del suo popolo e la sua realizzazione. Che Dio sia unico non vuol dire quindi che sia geloso e categorico, ma la sua gloria e grandezza si esplicano nell'amore che è all'origine delle suddette prescrizioni. Daldronde l'alleanza divina con il popolo prediletto non accresce la maestà divina e nulla aggiunge alla sua grandezza. Dio non ha bisogno di allearsi con l'uomo; piuttosto è l'uomo che necessita come prerogativa indispensabile che Dio realizzi con lui un codice di Alleanza, pertanto codesti comandamenti e prescrizioni altro non vertono che al vantaggio esclusivo del popolo e di tutti in generale.

Quello riportato nella Lettura odierna riguarda il diritto di proprietà e congiuntamente anche il diritto dei deboli e degli oppressi, particolarmente della vedova e dell'orfano. Categorie queste ultime particolarmente oppresse e disagiate, la prima perché, trovandosi in assenza del coniuge, la donna (considerata proprietà dell'uomo) non aveva chi la difendesse a livello sociale o giudiziario. La seconda categoria, quella dell'orfano, soffriva della solitudine sociale per l'assenza di un genitore che sostenesse chi era rimasto privo di un padre o di una madre. Dio rivendica per orfani e vedove la tutela, la protezione e la rivendicazione dei loro diritti come dovere inalienabile da parte di ciascuno nella società d'Israele. Dio infatti ama la giustizia e predilige chi gli usa deferenza e umiltà, come appunto le classi deboli e meno abbiette. Ecco perché impone che non si faccia usura nei prestiti e che non si esiga dal proprio prossimo interesse alla restituzione del denaro. Come pure, che non si abusi del mantello del proprio prossimo quando questi ce l'abbia dato come pegno: il mantello rappresenta l'identità e di relazione, di attenzione all'altro e di dono. Esprime insomma l'individuo e la sua disponibilità verso gli altri (ecco perché nella Bibbia si “getta” il mantello in segno di approvazione) e intanto è la veste indispensabile della persona e di essa non si deve abusare.

A qualificare maggiormente l'amore del Padre sarà però Gesù. Già nelle stesse pagine dell'Esodo Dio esige rispetto e accoglienza per il forestiero “perché anche voi siete stati forestieri in terra d'Egitto”(Es 22, 20) e anche il “lontano”, cioè il non Israelita doveva essere oggetto di attenzione di considerazione. Ciononostante nei confronti degli ospiti e degli stranieri, nella concezione israelitica restava sempre una certa distanza e discrezione: prestando del denaro a un forestiero, per esempio, era lecito esigere almeno un po' di interesse; nessuna cifra aggiuntiva invece quando il debitore fosse un connazionale. Il concetto di prossimo era ancora limitato e circoscritto, relegato alla sola classe del popolo a cui si apparteneva.

Gesù, invece, Figlio di Dio fatto uomo, dice espressamente: “Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”, ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”(Mt 5, 43 - 44), estendendo così il concetto di “prossimo” anche al nemico e alla persona che consuetudinariamente siamo soliti detestare. L'amore, che deriva da Dio e si estende a tutti gli uomini non può conoscere confini o limitazioni, deve raggiungere tutti senza riserve e tutti conquistare e non può che essere disinteressato, realizzato punto per punto con il solo scopo di dare senza aspettarsi di ricevere. L'amore gratuito e disinvolto, anzi, proprio quello ottiene quello che falsità e ipocrisia ci precludono, ossia la vera ricompensa. L'amore per i nemici è il fiore all'occhiello dell'amore cristiano perché toglie ogni dubbio sulla sua autenticità ed esercitandolo si può essere convinti di stare nella legge vera di Dio.

Quando dunque Gesù viene raggiunto con l'ennesima domanda a trabocchetto con la quale lo si vuole cogliere in fallo, sa come destreggiarsi nella risposta: non disattende affatto (come forse si sarebbero aspettati i suoi avversari) la prescrizione del Gande Comandamento del Deuteronomio, peraltro corrispondente a una pratica di orazione di largo uso nei tempi correnti: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”, aggiungendo ad esso un “secondo” comandamento che in realtà è correlato al primo e complementare ad esso: “Amerai il prossimo come te stesso”. Si tratta di una relazione con Dio che il popolo d'Israele era invitato a coltivare attraverso l'ascolto della Parola del Signore; all'ascolto seguita sempre la fede, la conoscenza e l'immedesimazione in Dio e ci si immette nella familiarità con lui. Tutto questo non può che avere conseguenza certa nell'amore al prossimo, che è il contrassegno della fede. Anzi, l'amore è la pienezza della Legge (Rm 13, 10), amare Dio e il prossimo è il compendio di tutti i comandamenti e di tutte le prescrizioni, e anche se queste non dovessero essere a noi note possiamo essere certi che le osserviamo quando mettiamo costantemente in pratica la legge dell'amore. Al contrario, disattendendo l'amore agli altri, siamo sempre inadempienti, anche se dovessimo essere ligi a tutte le normative scritte. Nell'amore del prossimo si riscontra il vero amore per Dio perché in questo due Grandi Comandamenti si risponde anche alla domanda “Come poter amare Dio che non si vede?” La risposta è chiara è inequivocabile: ferma restando la suddetta dicotomia di ascolto e di fede per l'interiorizzazione, l'amore per il fratello è il luogo concreto dell'amore verso Dio. Dirà Giovanni: “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”(1Gv 4, 7- 8).

Gesù dunque non smentisce la radicalità del Comandamento divino già esistente, ma dimostra di averne consapevolezza, con la differenza che questa Legge ha valore universale e radicale, he si estende oltre i confini abituali e abbatte le barriere dell'egoismo e dell'interesse personale. Amare Dio con tutti se stessi e il prossimi come se stesso vuol dire infatti avere consapevolezza (fede) che Dio ha esaltato l'uomo con tutti i mezzi, ma altrettanto l'uomo deve fare nei confronti di Dio con altrettanti mezzi. Ma quali sono i mezzi più adeguati se non l'eroismo dell'amore verso i nemici? E'con i fratelli che inizia l'itinerario dell'incontro concreto verso Dio e identificando i fratelli nei nemici e facendoci noi stessi “prossimi” agli altri si palesa nella concretezza la fede nel Dio che ama tutti indistintamente.

Tali concetti in Gesù non sono solamente speculativi e razionalizzanti, ma si concretizzano nell'evento stesso Gesù che non ha risparmiato se stesso fino a dare la propria vita per tutti sulla croce, che per l'appunto è la massima espressione dell'amore che deriva dall'ascolto e dalla fede.

 

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