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TESTO I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio

mons. Vincenzo Paglia   Diocesi di Terni

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/09/2005)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

"I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio", disse Gesù ai farisei che lo ascoltavano nel tempio. Senza dubbio, queste parole suonarono come una bruciante sferzata per i farisei. Loro, che si consideravano (ed erano ritenuti) "puri", sarebbero stati preceduti dai pubblici peccatori e dalle prostitute! Qual è il rimprovero che Gesù fa ai farisei? Anzitutto la distanza tra il "dire" e il "fare". E lo esemplifica con la parabola dei due figli. Il primo si dichiara pronto ad andare a lavorare nella vigna, ma non lo fa', il secondo invece, dopo il diniego, si reca alla vigna. Gesù mette a nudo la contrapposizione tra le parole e la vita. Le parole da sole non salvano, occorre metterle in pratica. In tal senso aveva detto Gesù: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7, 21). L'esempio del secondo figlio è efficace: egli adempie la volontà del padre non a parole, che sono anzi contrarie ad essa, ma con i fatti.

La distanza tra il dire e il fare esplicita cos'è la religiosità farisaica stigmatizzata da Gesù. È un'accusa rivolta a chiunque bada più all'apparire che all'essere, più alle parole che al fare, più all'esteriorità che al cuore. E se ci esaminiamo un poco vediamo subito quanto ciascuno di noi somiglia al primo figlio pronto più a dire sì con le labbra che a fare concretamente la volontà di Dio. Talora c'è anche un'obbedienza che ha il tono e la forma della deferenza, dell'apparenza e dell'equilibrio, ma che nel profondo nasconde una sottile ribellione interiore. Come può esserci un'esteriore disobbedienza che presenta una superficie scomposta e indisciplinata ma che in realtà ha nel profondo una sostanza valida ed esemplare di impegno.

Gesù afferma che è più facile per un peccatore ravvedersi piuttosto che per un benpensante, sicuro e altezzoso della sua giustizia, spezzare l'involucro duro del suo autocompiacimento e delle sue abitudini. E prende spunto dalla predicazione del Battista: i farisei l'hanno respinta, mentre i peccatori si sono convertiti. Costoro, infatti, non si sono contentati di ascoltare, ma hanno chiesto: "Cosa dobbiamo fare?"(Lc 3, 10-14); e hanno messo in atto quanto il predicatore diceva loro. Questa è la fede: ascoltare l'invito della predicazione del Vangelo e percepirlo come rivolto personalmente a se stessi, non come parole astratte su cui dibattere e discettare. Chi si lascia toccare il cuore dal Vangelo, costui si allontana da se stesso (in fondo la religiosità farisaica è il compiacimento di se stessi, del proprio comportamento, delle proprie azioni) e si abbandona alla volontà di Dio.

L'esempio di Francesco d'Assisi che ricorderemo il 4 ottobre è l'opposto della religiosità farisaica. Egli fu discepolo nel senso pieno del termine: ascoltò il Vangelo e lo mise subito in pratica alla lettera. Non è un eroe. È un uomo che si è lasciato amare dal Signore sino in fondo e per questo lo ha seguito senza resistere. Ha lasciato tutto perché aveva trovato uno che lo amava più di se stesso. In verità è così anche per noi. Gesù ci ha amati più di noi stessi. Francesco d'Assisi lo riconobbe. Noi facciamo fatica, perché i nostri occhi sono pieni ancora di noi stessi e dei nostri problemi. Volgiamo il nostro sguardo al Signore e lasciamoci amare da lui.

 

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