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TESTO Quattro condizioni per l'efficacia dell'opera di misericordia della "correzione".

diac. Vito Calella

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/09/2020)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Al di sopra di tutto la carità.

«La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm 13,10).

Avere il coraggio di correggere chi evidentemente dimostra di avere un comportamento sbagliato, dannoso per lui e per chi gli vive intorno, è una delle opere di misericordia che santificano la vita del cristiano.

Dio ci ha parlato oggi per mezzo del profeta Ezechiele. Siamo posti di fronte alla grave responsabilità di correggere il nostro prossimo responsabile di un atto peccaminoso. Non è detto che si converta grazie al nostro intervento. Tacere senza ammonire chi sbaglia diventa una scelta di complicità con il male e ne dovremo rendere conto a Dio stesso.

Per mezzo dell'apostolo Giacomo accogliamo anche queste parole divine, che danno luce alla pratica misericordiosa della correzione: «Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati» (Gc 5, 19).
Correggere il peccatore non è facile,

Il rispetto della privacy potrebbe diventare il pretesto per non impicciarsi della vita degli altri quando sbagliano. Correggere l'altro può avere come conseguenza la sua brusca risposta di disappunto: «Pensa ai fatti tuoi!». L'individualismo imperante giustifica tante omissioni e sembra che sia giusto lasciare ognuno libero di agire come gli pare e piace.

Il pettegolezzo potrebbe diventare l'opposto della pratica di misericordia. Con la scusa di dire la dura verità dei comportamenti sbagliati degli altri si infanga la loro dignità, amplificando la diffamazione mediante i social. La questione è molto delicata.

Quattro condizioni per esercitare efficacemente la correzione.

Sono necessarie quattro condizioni perché la correzione possa veramente essere un'opera di misericordia in grado di salvare il fratello o la sorella che hanno sbagliato il bersaglio della loro vita con scelte divisive e isolanti.

La prima condizione è la consapevolezza di avere davanti a noi la luce della parola di Dio: «Lampada ai miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» (Sal 119, 105). Lo abbiamo pregato anche con il salmo 94 oggi: «Se ascoltaste oggi la sua voce! Non indurite il vostro cuore...» (Sal 94, 7c-8a). Nessuno di noi ha la verità in tasca. Nessuno può aggiudicarsi la pretesa di decidere ciò che è bene e ciò che è male per la sua vita. C'è bisogno della sapienza divina della Parola a orientare costantemente le scelte tra le tante possibilità offerte alla nostra libertà, giorno dopo giorno. I comandamenti del Signore, alcuni di essi ricordati dall'apostolo Paolo, sono tutti finalizzati a farci vivere l'unico comandamento dell'amore: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Rm 13,9b). La Parola di Dio va pregata individualmente, ogni giorno, affinché possa essere custodita nel nostro cuore e nella nostra mente e ci renda persone umili.

La seconda condizione è la consapevolezza della nostra umile realtà di peccatori, del fatto cioè che siamo tutti nella stessa situazione di fragilità e vulnerabilità. Soltanto l'incontro tra persone umili permette l'esperienza liberante della correzione fraterna e la bellezza di sentirci veramente uniti nella carità. Quando ci accingiamo a correggere il fratello o la sorella non lo vogliamo fare perché, con atteggiamento “farisaico”, noi siamo i giusti, i perfetti, ma perché portiamo dentro di noi la profonda gratitudine di essere figli amati del Padre così come siamo, nella nostra povertà; viviamo grati di esserci già sentiti portati in braccio da Gesù buon pastore, quando anche ciascuno di noi era una pecora smarrita. Viviamo del ricordo di tante conversioni grazie al sostegno sicuro di fratelli e sorelle in Cristo che non sono stati indifferenti nei momenti difficili della nostra vita. Col nostro cuore umile andiamo allora ad incontrarci con il peccatore per dirgli parole di correzione, accompagnati dal canto di lode del sentirci amati, protetti, guidati non dal nostro Io, ma dal Padre unito al Figlio nello Spirito Santo, nostra roccia, nostra guida: «Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Entrate: prostrati, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce» (Sal 94, 6-7)

La terza condizione è la consapevolezza di essere membra del corpo ecclesiale, è la nostra appartenenza alla Chiesa. Il contesto culturale in cui viviamo ci spinge a vivere individualmente la nostra esperienza di fede. Molti dicono di credere in Dio e di non credere la Chiesa, preferendo camminare da soli senza sentire la responsabilità della comunione ecclesiale. Il versetto precedente al testo del Vangelo ascoltato in questa domenica parla chiaro: «È volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18,14). Il segno visibile della salvezza universale è la comunione fra noi, tutti uniti nell'unica confessione di fede in Cristo morto, sepolto e risuscitato per tutta l'umanità. La celebriamo con gratitudine mediante la comunione eucaristica. Sentiamoci allora membra vive del corpo di Cristo! Sentiamo la responsabilità di essere membra sane e non malate! Se ci diciamo cristiani e diamo testimonianza di una vita immorale, tutto il corpo ecclesiale ne soffre le conseguenze! Se io ho coscienza di aver commesso un grave errore, possa essere grato del fratello o della sorella che viene a parlarmi aiutandomi a correggere il mio comportamento, sapendo che non sto danneggiando soltanto me stesso, ma anche la comunità cristiana alla quale appartengo.

Se ogni atto peccaminoso provoca divisioni e isola i fautori del male nel loro infernale individualismo, siamo chiamati a usare tutte le strategie pedagogiche per ricondurre i peccatori a noi prossimi nella retta via, potendo contare con l'appoggio di alcuni fratelli e sorelle della nostra comunità cristiana e anche dell'autorità dei nostri ministri ordinati, cioè dei nostri vescovi (Magistero) coadiuvati dai loro sacerdoti e diaconi. Il rispetto della libertà altrui è sacrosanto. Il Cristo risuscitato oggi ci chiama a perseverare nella dura lotta di fare tutta la nostra parte per promuovere la conversione di quei cuori induriti resistenti ad ogni appello di conversione.

Il salmo 94, 9-10 ci rende preparati al duro smacco della resistenza alla conversione di persone da noi amate. Sembra che Dio metta il suo popolo, dal cuore indurito, di fronte alla grave responsabilità dell'esercizio della sua caparbia libertà di perseverare nella mormorazione e nell'indocilità ai suoi comandamenti: «Per quarant'anni mi disgustò quella generazione, e dissi: "Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie". Perciò ho giurato nella mia ira: "Non entreranno nel luogo del mio riposo"».

Se il peccatore non ha ascoltato il mio consiglio quando ci siamo incontrati a quattr'occhi, se non ha accettato nemmeno il confronto alla presenza di due o tre testimoni, se ricusa anche le disposizioni orientative dell'intera comunità cristiana attraverso la voce autorevole dei suoi ministri ordinati che offrono regole di vita morale, egli può anche essere scomunicato. Esiste nella Chiesa l'autorità di legare e sciogliere, di mantenere nella comunione o di decretarne la dolorosa separazione: «In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). Quando riceviamo l'assoluzione dei nostri peccati, mediante il sacramento della riconciliazione, non siamo solo riconciliati con Dio, ma siamo riammessi nella comunione ecclesiale. Lo scomunicare può diventare l'ultima possibilità di esercizio di carità verso chi dimostra di avere un cuore eccessivamente indurito. Assumersi le conseguenze dell'isolamento può diventare opportunità per l'inizio di un vero processo di cambiamento, perché nessuno resiste all'inferno della separazione. Viviamo per la relazione e la pienezza di vita è la comunione.

In questa faticosa esperienza di lottare fino in fondo per la conversione del peccatore è necessaria un'ultima condizione: la preghiera comunitaria.

La quarta condizione affinché possa avvenire il miracolo della conversione del peccatore mediante l'opera di misericordia della conversione è la consapevolezza che il Cristo risuscitato è in mezzo a noi quando ci riuniamo insieme per pregare nel suo nome, chiedendo insieme la grazia della conversione di chi dimostra di avere un cuore indurito: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 19-20). Quel “qualunque cosa” è la presentazione corale al Padre della situazione di separazione che esiste nella comunità, è l'affidargli la cura di quel cuore indurito incapace di ascolto. Nulla è impossibile al Padre, il quale vuole che nessuno si perda, sapendo che Gesù si è reso particolarmente attento ai pubblicani e peccatori, cioè agli esclusi dalla comunione con la comunità giudaica del suo tempo.

 

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