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TESTO Ancora la guardiamo... Come lui l'ha guardata

don Angelo Casati   Sulla soglia

X domenica dopo Pentecoste (Anno A) (09/08/2020)

Vangelo: Mc 12,41-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,41-44

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

E' un frammento, questo brano di vangelo di Marco, ma frammento di una tenerezza indimenticabile, una tenerezza d'occhi di Gesù per la donna, povera e vedova, dei due spiccioli. Indimenticabile, da non dimenticare: è Gesù stesso che chiama a puntare gli occhi su di lei, chiama i discepoli, e questa mattina chiama me, chiama noi. Accade, nel tempio, qualcosa di vivo. Di tenero. Passatemi la parola, qualcosa - starei per dire - di insolito. Infatti se leggiamo l'intero capitolo, e quello che lo precede, la donna povera e vedova nel tempio - se me lo consentite - appare un'eccezione.

Tre giorni prima, l'ingresso di Gesù a groppa di asino in Gerusalemme, la sera Gesù entra nel tempio. Uno sguardo e subito esce. L'ora è tarda. Il giorno dopo ci ritorna. Non ce la fa a sopportare. A che cosa hanno ridotto il tempio? Rovescia tavole e sedie di venditori di colombe e cambiavalute. Ed ecco il nostro giorno, terzo giorno. Ed è un assedio. Quasi fosse messo sotto processo da un sant'uffizio. A ondate. Prima sommi sacerdoti, scribi e anziani: a chiedergli chi gli avesse dato l'autorità di fare quello che stava facendo. Fallito il tentativo di catturarlo, gli mandano farisei ed erodiani, nel tentativo di coglierlo in fallo. Non basta, ecco arrivano i sadducei. E infine, isolato, ancora uno scriba.

C'era da non poterne più. Irrespirabile l'aria. Ma che cosa era mai diventato quel tempio? Odorava di occupazione. E' così che gli venne come un'urgenza: mettere in guardia da coloro che si erano impossessati di quel luogo, inaridendo la sorgente. Disse - e sono i versetti che precedono immediatamente i nostri - disse: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave".

Uno spettacolo che può riproporsi ai nostri giorni. Forse qualcuno di voi ricorda che anni fa Papa Francesco ravvisava quindici malattie che possono contagiare la chiesa, e, tra queste, ricordava - sono parole sue - "la malattia della rivalità e della vanagloria. Quando l'apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l'obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: "Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri" (Fil 2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi...". Se questo è lo spettacolo che di soppiatto trova spazio nel tempio, il tempio è violato nella sua anima profonda.

Penso che abbiate notato come nella prima lettura, a proposito della costruzione del tempio di Gerusalemme, più volte nel brano, Dio lo evochi come "una casa costruita al mio nome". Guai se al suo nome sostituiamo il nostro nome. Nome dice "presenza di Dio": se lo ingombriamo con la nostra gloria, è come se mandessimo in esilio Dio. Perdonate se ora oso entrare nei sentimenti di Gesù. Era ritornato per il terzo giorno nel tempio, sempre asfissiato da un aria irrespirabile: aveva visto personaggi non celebrare Dio, ma celebrare se stessi. Immagino che stesse male dentro. Lui sempre alla ricerca di qualcosa di vero, di sincero, di autentico. Lui "osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte".

Ed ecco - perdonate se mi esprimo così - Gesù ha come un sussulto: ecco che i suoi occhi intravvedono, tra i tanti, una donna vedova e povera. C'è un "ma" nel racconto, un "ma" che interrompe quel cerimoniale esibito, senz'anima. Uno stacco, qualcosa di diverso, un "ma" che cambia l'aria del tempio, eccolo: "Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino". E Gesù - è scritto - chiama i discepoli: vuole che quella donna vedova e povera, in miseria, lei e il suo gesto rimangano impigliati a memoria negli occhi dei discepoli. Il gesto è silenzioso, come silenziosi sono i due spiccioli che fa scivolare nel tesoro del tempio. A noi sembra di vederla, si nasconde nell'ombra del suo velo, lei, pellegrina dell'interiorità.

Spingo il discorso: quasi Gesù dicesse che casa di Dio era lei. Oggi Paolo scriveva: "Il tempio di Dio siete voi". Era come se Gesù dicesse: "Il tempio di Dio è lei". Chiama ad osservare. Lei, la donna della fede: "Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: "In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere"" "In verità vi dico...": è l'incipit di quando Gesù dice cose importanti, assolute. "Nella sua miseria ha gettato tutto quanto aveva per vivere". Rimane senza niente, la sua fiducia è estrema, solo Dio.

Sento che devo guardarla questa donna per inoltrarmi nella fede, perché io - non so voi - io qualcosa a buon conto - diciamo "a buon conto"! - me lo tengo. Ma nell'invito di Gesù a guardare la donna vedova e povera mi sembra di cogliere anche un invito a nuove misure di vangelo. E gli occhi non si perdano in personaggi celebrati, incensati. Non sono loro a reggere il mondo. E', invece, una moltitudine di silenziosi, di umili, di semplici: sono loro la forza vera della società, della chiesa, del mondo. E dove sono i miei occhi? Finisco. Vorrei confessarvi che non mi riesce mai di leggere questo brano di Marco senza una pausa di commozione. Mi commuove pensare che oggi parliamo di quella donna.

Di lei, - pensate - dopo duemila anni. Non sappiamo quale fosse il suo nome. Ma Gesù ancora una volta ci ha raccontato di lei. Perché la guardessimo. Come lui l'ha guardata.

 

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