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TESTO Da custoditi dal Padre a praticanti dell'ospitalità

diac. Vito Calella

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/06/2020)

Vangelo: Mt 10,37-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Un percorso ad ostacoli per vivere apertamente la nostra fede.

Il vangelo di Matteo fu scritto per le comunità cristiane della Palestina nel tempo in cui i rabbini farisei, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, avvenuta nell'anno 70 d.C., decretarono la rottura definitiva con quella che loro giudicavano la setta eretica dei nazireni, cioè dei cristiani. Tra le diciotto benedizioni che i giudei pregano anche tre volte al giorno, è di quel tempo l'aggiunta della dodicesima. È più una maledizione che una benedizione: «Per i calunniatori e per gli eretici non ci sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente, ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e pieghi i superbi». Chi si convertiva alla predicazione dei dodici apostoli e si dichiarava apertamente cristiano veniva espulso dalla sinagoga, veniva emarginato dalla famiglia, perdeva i diritti di eredità. La scelta per Cristo aveva conseguenze dolorose di esclusione e isolamento sociale. Gesù aveva appena detto che la sua proposta di vita avrebbe provocato divisioni anche nelle famiglie. Allora comprendiamo le prime parole del Vangelo di questa domenica: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,37-39). Oggi, come al tempo delle prime comunità cristiane, ci vuole coraggio per dichiararsi esplicitamente credenti, perseverando anche in famiglia nella lettura orante della Parola di Dio, nel rispetto faticoso della libertà dei propri parenti più prossimi, soprattutto quando loro stessi pongono ostacoli o ridicolizzano la nostra scelta di starci fiduciosamente nella nostra consegna o resa al Padre unito al Figlio nello Spirito Santo e dando testimonianza della nostra appartenenza ecclesiale con il nostro esserci fedelmente alla celebrazione eucaristica..

Possiamo correre il rischio di interpretare le parole di Gesù come un “aut -aut”: «O scegliete me oppure la vostra moglie o marito, vostro figlio o vostra figlia, vostro padre o vostra madre». Non è questo ciò che vuole dirci il Signore! Egli oggi, a partire dalla sua esperienza di aver attraversato la sfida dolorosa della sua passione, morte, sepoltura e risurrezione, ci vuole offrire la sapienza del sentirci custoditi dal Padre per fare dell'ospitalità dell'altro il nostro stile diaconale di vita.

Essere custoditi dal Padre.

Gesù aveva appena detto: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro» (Mt 10,29). Il Padre c'è, in ogni circostanza della nostra vita, nella situazione esistenziale qui ed ora, anche quando siamo come un passero precipitato per terra, o abbattuto dal dolore di una malattia, o affaticato dalla condivisione sanguinante con chi sta soffrendo più di noi. Perfino un capello insignificante della nostra testa è custodito dal Padre come un bene prezioso. Ogni lacrima versata, ogni gesto di rispetto della libertà dell'altro, anche se ci ostacola nella testimonianza della nostra fede in Cristo, ogni atto di carità fatto senza aver ricevuto un “grazie”: tutto è custodito, accolto, ospitato prima di tutto nel cuore misericordioso e fedele del Padre. Siamo custoditi, siamo ospitati dal Padre così come siamo, nella radicale povertà della nostra condizione umana, nella confusione di una vita quotidiana intessuta di relazioni pesanti da sopportare, dove sono più le resistenze e incomprensioni da sopportare che le sintonie da godere insieme in armonia e unità. Siamo custoditi, ospitati nel cuore misericordioso e fedele del Padre, come abbiamo pregato nel salmo 89 (88), 2-3: «Canterò in eterno l'amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: “È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà”».

Possiamo sentirci custoditi dal Padre solo nell'ora della prova, quando cioè siamo derisi, ostacolati, perseguitati a causa della nostra fede in Cristo. Oppure quando dobbiamo fare i conti con perdite dolorose. Possiamo sentire di essere custoditi dal Padre quando la nostra salute fisica o psicologica viene abbattuta dalla malattia o dalla depressione, quando siamo oppressi dall'impossibilità di vivere l'essenziale vitale della relazione a causa del cornavirus o del cuore di pietra dell'altro che ci sta dinnanzi.

«Prendere la propria croce» significa aggrapparci, custodire, ospitare in noi ciò di cui vorremmo liberarci a tutti i costi: il nostro limite, la nostra vulnerabilità, la nostra inconsistenza, la radicale povertà della nostra condizione umana, quella sensazione paurosa di vuoto, perché nelle prove della vita non ci sentiamo più padroni di noi stessi e degli altri. Nulla ci appartiene, nemmeno la nostra vita, così condizionata dalla tessitura delle nostre relazioni con gli altri, nel rispetto della loro libertà.

«Prendere la propria croce» significa accoglierci così come siamo nella nostra povertà, chiedendo questa grazia dello Spirito Santo in noi: «Fammi morire con Cristo in croce!» Cioè, illuminati dallo Spirito Santo in noi pregare: «Abbà, Padre, fammi vivere come Gesù l'esperienza della resa, dell'abbandono, della consegna fiduciosa a Te, soprattutto nell'ora in cui non c'è più nulla su cui fondare le mie sicurezze umane, perché sono esposto completamente all'impotenza di risolvere la situazione». Chiediamo allo Spirito Santo in noi di farci vivere, come Gesù, la consegna del nostro spirito al Padre, consapevoli che Lui c'è, è nostro scudo, nostro re, nostra roccia sicura, nostro custode affidabile. Uno slogan ci potrebbe illuminare «Dio c'è. Ma non sei tu». Nulla ci appartiene. Consegnati come Gesù all'ospitalità del Padre faremo esperienza della potenza trasformante, unificante, liberante dello Spirito Santo in noi. Come Gesù morì obbediente, consegnato, abbandonato alla comunione con il Padre nell'ora della sua morte di croce, senza rompere la relazione con Lui anche nelle tenebre del fallimento e della morte, così la nostra consegna al Padre oggi avviene con la nostra compartecipazione alla morte di Gesù in croce. Questo è il senso più profondo dell'amare Gesù di più di nostro padre, di nostra madre, di nostro figlio, di nostra figlia. È vivere la consegna fiduciosa della nostra povertà al Padre come Gesù abbandonato, consapevole di essere ospitato, custodito dal Padre nell'ora della prova.
Da custoditi dal Padre a praticanti dell'ospitalità.

Quando arriviamo a sperimentare che il Padre c'è nella radicale condizione di precarietà di cui siamo fatti e nella complessa tessitura delle nostre relazioni difficili con gli altri, sentendoci amati qui ed ora da veri figli, allora scatta in noi una profonda gratitudine, una pace del cuore che non dipende da noi, è puro dono dall'alto. Senza fuggire dai nostri limiti, senza ribellarci di fronte ai nostri sbagli e alle nostre inconsistenze, senza più sopportare con tante resistenze gli ostacoli che gli altri ci mettono davanti, cominciamo a diventare ospitanti come il Padre, perfetti nell'amore misericordioso come il Padre, figli adottivi a immagine del Padre. Abbiamo uno sguardo più profondo sulla vita. Diventiamo noi stessi ospitanti, accoglienti, come la sunamita fece con il profeta Eliseo. Cominceremo a gustare anche il più semplice gesto di accoglienza che è semplicemente offrire un bicchiere d'acqua al pellegrino assetato. Nelle relazioni tese e difficili sentiremo la forza di resistere testimoniando il rispetto della libertà dell'altro, anche se persiste nella durezza del suo cuore.

Avremo la ricompensa che non significa entrare nella logica del calcolo dell'«Io ti do. Ma tu cosa mi dai in cambio?» La ricompensa è l'azione liberante, vivificante, unitiva dello Spirito Santo che sprigiona tutta la sua forza quando ciascuno di noi, svuotato di ogni sua sicurezza, come Gesù, si è consegnato al Padre mantenendo l'essenziale che è la comunione con Lui, nostro vero e primo custode, l'ospitante fedele e misericordioso. La soluzione dei conflitti, la liberazione dalla tribolazione e dalla prova verranno sicuramente perché «Gesù vive, vive per Dio» (Rm 6, 8) avendo mantenuto la sua comunione con il Padre fino all'ultimo respiro da crocifisso. Allora anche noi ci sentiremo «viventi per Dio, in Cristo» (Rm 6,11).

 

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