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TESTO Tra pioggia e sole un volto

don Angelo Casati   Sulla soglia

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II domenica dopo Pentecoste (Anno A) (14/06/2020)

Vangelo: Mt 5,2.43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,2.43-48

2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Come siamo fatti? Come sono fatto io? Di che pasta sono fatto? Non è facile dirlo. Il libro del Siracide ce ne parla oggi. Vorresti fermarti a ogni parola, ma subito sopraggiunge l'altra che aggiunge. O a volte volta addirittura sembra mettere in questione la prima. Alla fine della lettura del piccolo brano, mi sono detto che, secondo la Parola, c'è tanto splendore in noi, tanto. In ognuno di noi. Tanta bellezza. Di cui siamo chiamati a riconoscere l'origine: una "nobiltà" - se così la possiamo chiamare - che non ci siamo data noi.

Ci sono parole nel brano, che non penso si possano ascoltare senza sorpresa e stupore tanto sembrano assolute, eccole: "Il Signore creò l'uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare... Li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine". Forza pari alla sua, a sua immagine. Ma aggiunge: "Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d'intelligenza e mostrò loro sia il bene che il male". Come a dire che la nobiltà chiede custodia. Non è che se uno ce l'ha ce l'ha per sempre e che tutto quello che uno di noi fa ha marchio di nobiltà, assicurato per nascita.

Mi ha molto colpito nel brano l'insistenza sul pensare, sul'intelligenza, sul discernimento che da un lato ci porta a un bisogno di dar gloria a Dio e dall'altro di guardare con intelligenza i nostri giorni: Disse loro: "Guardatevi da ogni ingiustizia. E a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo". Quasi a dirci: quando siamo a immagine di Dio, quando siamo colmi di vera nobiltà? Quando ci guardiamo da ogni ingiustizia, quando ci prendiamo cura del prossimo. Questa è la tua vera nobiltà. La lettera ai Romani oggi ci ricordava come ci si possa allontanare, per via di una intelligenza depravata, da una vita secondo l'immagine che Dio ha impresso in noi.

Una lunga elencazione quella di Paolo che un po' - lasciatemi dire - ci lasciava con il cuore stanco. E alla fine dell'inquietante elenco ecco due sfregi che fanno distanziamento dall'immagine di Dio. Eccoli. Scrive Paolo, quasi a riassumere tutto: "Senza cuore e senza misericordia". Tradimento dell'immagine. Ce lo ricorda Gesù nel brano di Matteo: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti".

Essere figli, essere secondo l'immagine del Padre è bellisimo, ma anche impegnativo: il padre fa sorgere il sole su cattivi e buoni e fa piovere sui giusti e gli ingiusti. Ora sappiamo come e quando si diventa figli di Dio. A volte abbiamo detto e ancora diciamo che si diventa figli di Dio nel Battesimo. Ma se io restringo l'orizzonte del mio amore, non sono figlio del Padre che non fa distinzione tra campo del giusto e campo dell'ingiusto. Voi mi capite, sullo sfondo c'è tutto il problema dell'inclusione o dell'esclusione. Ed è su questo che ci si misura se si è figli o no.

Non basta un nome su un registro di Battesimo. Uomini e donne con il cuore o senza cuore? Uomini e donne della misericordia o senza misericordia? I miei pensieri, i miei gesti, le mie parole, il mio sguardo parlano di uno senza cuore o di uno abitato dalla tenerezza? In questo orizzonte dello "sguardo", del "come guardo", entra l'altro comando di Gesù che quasi ci sembra improponibile: "amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano". Ci verrebbe da dire che queste sono parola da declamare nelle chiese, con il sospetto che non ci credano neppure quelli che le declamano nelle chiese. Parole esagerate.

Ma fa impressione come Gesù, con fermezza, metta qui la differenza tra essere cristiani o essere pagani. Questo mi indice a chiedermi se mi sto rendendo conto che, quando penso, dico o faccio, in un certo modo non sono cristiano ma pagano. Devo anche dirmi che nella Bibbia non fu così dal principio e ci sembra di rintracciare, a proposito dell'odio, un cammino. Ed è come se con Gesù avvenisse, starei per dire, un deragliamento, un salto, una sconnessione. Qualcuno potrebbe ricordarci, per esempio, un salmo, salmo 139, versetto 21, "Quanto odio, Signore quelli che ti odiano. Quanto detesto quelli che si oppongono a te. Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici".

Questo mi induce a pensare che "non odiare il nemico" sia frutto di un cammino e che il segreto sia indugiare con gli occhi a lungo nel volto, negli occhi, del Padre. Come ci ha insegnato Gesù. E chiederci che cosa fa sì che lui si senta mosso a dare pioggia o sole ad ogni campo, alla sete di ogni terreno, senza chiedersi altro. Forse potremmo dire che anche qui è in questione il cuore e la misericordia. E potemmo subito ricordare quanto oggi ci sia bisogno, per come siamo inveleniti, di parole come queste di Gesù, in una stagione come la nostra in cui stiamo assistendo, quasi increduli, a una crescita esponenziale, raggelante, inquietante di odio nel nostro paese.

E imperversano parole che non sono parole, perché le parole tengono in sé l'anelito del parlarsi, una spinta a comunicare. E sdegno dovremmo provare quando invece sono snaturate in insulti, quando soggiace il tentativo di sporcare o addirittura incenerire il volto dell'altro, quello su cui Dio ha messo il suo sigillo. Ritorna, ritorna - voi mi capite - il senza cuore, il senza misericordia. Ebbene, perdonate, "cuore" mi richiama la parola "cordialità". Essere cordiali: un viso, degli occhi, il tono della voce, uno spirito, nel segno della cordialità. Non so se la stagione del covid19 ci ha insegnato ad essere più umili e più cordiali.

Ebbene mi sono chiesto se il coltivare cordialità non potrebbe essere antidoto alla degenerazione dell'odio. Non la diffidenza negli occhi, non l'arroganza, non il sospetto, non la disistima, non il pregiudizio, non la violenza, non l'acredine, non il rifiuto, non le ciglia aggrottate. Ma la cordialità. Che sia anche la cordialità uno dei segni che svela se siamo o no figli di Dio? "Siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti".

 

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