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TESTO "Tu ci sei..."

don Angelo Casati   Sulla soglia

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SS. Trinità (Anno A) (07/06/2020)

Vangelo: Gv 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Vi devo, per debito di sincerità, confessare che, ogni volta che giungiamo a questa festa della santissima Trinità, mi sembra da un lato di essere un po' ribelle. Ribelle alle elaborazioni concettuali su Dio e dall'altro anche forse autorizzato allo sconfinamento dalle Scritture sacre, autorizzato ad avvicinarmi al mistero di Dio per un'altra strada. Che non è quella di coloro che al mistero di Dio si accostano con un approccio concettuale, che, pur alto e legittimo, forse per come sono fatto io, non mi prende il cuore.

E mi prende allora il desiderio di fare un cammino, direi, a ritroso. Desiderio di un ritorno alle Scritture per cogliere da fessure luci sul volto di Dio e, di conseguenza, luci sul volto delle donne e degli uomini di ogni tempo, anche del mio tempo. Non vorrei ridurre Dio a una questione di formule, natura e sostanza, o di numero uno e trino. La tentazione, sempre soggiacente, ha come esito triste quello di cancellare i volti. L'abbiamo sperimentata anche nei giorni della pandemia: i numeri che celavano i volti.

E allora vi dirò che mi racconta di Dio e del suo mistero - e rimango affascinato - il brano del libro dell'Esodo che oggi abbiamo ascoltato, suggestioni a non finire. A partire da Mosè, un custode di greggi, uno che più legato alle cose che si toccano non si può, eppure stregato da quel fuoco del roveto che ardeva e non si consumava. E io a chiedermi se mi sento stregato nella mia vita da roveti che ardono senza consumarsi: "Hai fatto mai caso a che cosa nelle tua vita arde e il tempo non lo consuma? Ti sei chiesto come mai? E a dove venga. E ti sei avvicinato? E non sarà forse là dove metti la parola "amore"? O tutto è scontato, nessuna meraviglia, non sei l'uomo e la donna della meraviglia? Avvicinarsi a Dio. E la voce: "Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!". Non avvicinarti oltre.

Preserva l'oltre, non invaderlo. Se non lo preservi, non preservi Dio. Conserva questa confessione, umile ma sapiente, dell'oltre che non ti appartiene. E chi ti sente parlare di Dio avverta quanto sia lontana da te ogni ombra di presunzione. Cerca di accostarti a piedi scalzi, con piedi che non fanno rumore: troppe chiacchiere su Dio, troppe meschinità su Dio, troppi stravolgimenti del suo volto. Confessa l'oltre, avvicìnati con rispetto, con devozione. E subito mi raggiunge un'altra suggestione nel brano del roveto ardente: Dio si svela non in una verità astratta, si svela non in una definizione, ma in un racconto. In una storia.

La verità su Dio. ma non solo su Dio, esiste solo se concreta, solo se vissuta, solo se è storia. Il suo nome è impigliato alla storia. E dunque chi è Dio, la verità su Dio, la intuisci dalla storia. Dio dal roveto, per dire di sé, racconta una storia: quasi che Dio prendesse volto dal nome di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, da eventi accaduti: ha osservato la miseria del suo popolo, ha ascoltato il suo grido, è disceso. Fino a dove è disceso è la storia del suo Figlio. La verità su Dio nel figlio che discende. A volte mi sorprendo alle coincidenze. Proprio in questi giorni mi sono sentito come interpretato dalle parole di Claudio Magris che scriveva: "La verità di una vita - di un individuo, di un popolo - è la sua storia, il racconto di come ha vissuto, desiderato, amato, trasgredito.

Prima di Hegel e di Brecht, è Gesù a dire che la verità è concreta, lui davanti a Pilato con la sua persona, i segni delle frustate sulla sua pelle, la sua angoscia di morire, il suo piacere di vagabondare con gli amici per le strade di Galilea e di bere un bicchiere a una festa di nozze, il suo angosciato sudore di sangue verosimilmente maleodorante. Pilato gli chiede 'cos'è la verità?' e Gesù risponde non con un trattato teologico ma con la sua persona. Il Vangelo, come dice la stessa parola, non è un complesso di dogmi ma un annuncio di salvezza, festoso ingresso a Gerusalemme, una settimana prima di morire, sul dorso di un asino.

La verità è l'uomo, in carne e ossa che si possono toccare, mettendo le dita tra le sue piaghe come l'apostolo Tommaso. "L'uomo", scrive il Papa, "lo si fissa negli occhi, senza titubanze e senza paure". Il Verbo, la Verità, si è fatta carne, si è fatta storia - scrive l'evangelista Giovanni. Sembrano fare eco le parole di Christian Bobin: "La verità è ciò che arde. La verità non è tanto nelle parole, ma negli occhi, nelle mani, nel silenzio. La verità sono occhi e mani che ardono in silenzio". La verità arde nella parola "Padre", nella parola "Figlio", nella parola "Spirito".

Parlare di Dio vuol dire parlare delle loro orme in noi e sulla terra. E' vero, qualcuno potrebbe anche obiettare che alla fine però, alla domanda di Mosè, Dio cede e svela un nome che in qualche misura sa di definizione: "io sono colui he sono". Ma il contesto del racconto ci porta lontano da ogni speculazione filosofica. Per essere più aderenti al vero significato, potemmo meglio tradurre: "Io sono colui che ci è stato, colui che c'è, colui che ci sarà". La storia non mi racconta un Dio pallido, astratto, evanescente, ma un Dio presente, che c'è, che mi dice: "Io ci sono. Puoi contare. Puoi fare affidamento".

"Esserci" sembra essere un verbo che dice Dio. Ricordate Gesù, le sue amiche Marta e Maria, devastate dalla morte del loro fratello. Loro a dire a Gesù: "Se tu fossi stato qui". Loro avevano dato a Gesù un'immagine ingualcibile, quella di un amico che c'è. E dunque la loro meraviglia: "Se tu fossi stato qui!". E Gesù: "Vedrai la gloria di Dio". Come a dire: "Vedrai in me l'amico che non viene meno all'appuntamento, l'amico che c'è, c'è, c'è per te".

Ecco perché l' "io ci sono", che racchiude la verità di Dio, diventa il verbo di coloro che veramente hanno capito chi è Dio e gli hanno creduto. E' stata notizia buona per tanti di noi in questi giorni che il Presidente della Repubblica abbia consegnato una onorificenza a cittadine e cittadini non per altro, ma semplicemente perché, nei più diversi ambiti, avevano detto: "Io ci sono, potete contare su di noi". Penso che dire "Io ci sono" sia dare concretezza al verbo "amare".

Al cuore mi ritorna un pensiero folgorante di Simone Weil. Che scriveva: "Ciò che fa capire se uno è passato attraverso il fuoco divino non è il suo modo di parlare di Dio, ma è il suo modo di parlare dell'uomo e della terra". Potremmo dire il suo esserci.

 

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