TESTO Ecco colui che toglie il peccato del mondo!
II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/01/2020)
Vangelo: Gv 1,29-34
In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
L'agnello di Dio
Ci è familiare l'espressione agnello di Dio - molto raffigurata in diverse forme - perché è entrata nella liturgia. C'è però da domandarsi cosa l'autore del vangelo intendesse, alcuni commentatori mettono in dubbio che il Battista l'abbia effettivamente usata ipotizzando l'espressione servo di Dio, più facilmente comprensibile a chi ha assistito alla scena; oltretutto la parola aramaica talià è ambigua e potrebbe indicare sia agnello che servo. Per gli israeliti l'immagine richiama l'agnello pasquale ucciso all'inizio dell'Esodo il cui sangue ha segnato le case degli ebrei (Es 12,1-14) salvandoli dallo sterminio; Isaia parla del Servo, mite come l'agnello mandato al macello (Is 53,7). Nel corso del quarto Vangelo l'immagine di Gesù come agnello pasquale è più volte richiamata, la morte è posta all'ora stessa in cui venivano sacrificati gli agnelli per la Pasqua (Gv 19,14), l'issopo e il sangue (Gv 19,29.34) fanno riferimento all'aspersione col sangue dell'agnello pasquale (Es 12,7.22ss), chiara è la citazione del libro dell'Esodo non gli sarà spezzato alcun osso (Es 12,46; Gv 19,36).
Il peccato del mondo
Nella espressione utilizzata nella liturgia però è usato il plurale (i peccati del mondo) mentre il testo evangelico è al singolare: il rischio è la frammentazione dell'idea stessa di peccato, sottolineando la molteplicità delle sue manifestazioni, le implicazioni morali, la multiformità dei casi. Giovanni Battista parla del peccato del mondo, il peccato che opprime l'umanità intera, che tiene l'umanità lontana da Dio.
Il termine greco hamartia, usato nel vangelo, ha il significato di errore fatale, fallimento, bersaglio mancato. In ebraico, che appartiene alla cultura dell'evangelista, è usato il termine khata che significa smarrirsi, perdere la strada che conduce a Dio. La parola italiana peccato deriva dal latino peccatum, significa violazione, trasgressione, infrazione di una norma stabilita; è facile immaginare come la lingua possa aver condizionato il pensiero. Nel linguaggio comune la parola peccato assume diversi significati come colpa, mancanza, errore, inconveniente, non sempre dipendenti dalla nostra volontà come un apparecchio che non funziona più o una giornata rovinata dalla pioggia; nella categoria del peccato è entrato di tutto: dimenticanze, distrazioni, debolezze, disattenzioni, superficialità, si perde così la forza della espressione di Giovanni che parla di Gesù come colui che toglie il peccato del mondo!
Il mondo, nel quarto vangelo, rappresenta una mentalità, un modo di vivere che rifiuta la vita e la luce di Dio (Gv1,4-5). È l'uomo che si chiude alla relazione con Dio e si oppone all'amore. Il mondo ama ciò che è suo (Gv 15,19) perché si è chiuso nella autoreferenzialità e nella autosufficienza. Il mondo si sostituisce a Dio, prende il posto del Padre, il peccato del mondo quindi è la vita che l'uomo si ritrova a vivere dopo la rottura del rapporto di amore con Dio. Il peccato aderisce a una ideologia di morte, quello che sopprime la libertà degli uomini, lo priva della dignità di figlio di Dio; ci siamo persi in mille rivoli in cui il peccato si manifesta, nel tentativo di arginarne alcuni, deviarne altri, senza preoccuparci di risalire alla fonte. Il Servo di Dio prefigurato da Isaia si fa carico (cfr. Is 53,4 egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori) subendone le conseguenze fino alla morte, rispondendo però con un amore talmente pieno da far fallire la morte nel suo intento.
Ho visto e ho testimoniato
Nel quarto vangelo Giovanni Battista non ha più il ruolo di profeta che richiama alla conversione, piuttosto quello di chi ha fatto un'esperienza nuova, imprevedibile per lui stesso: io non lo conoscevo. Per lui si spalanca un orizzonte nuovo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
Il mistero di Dio si manifesta a lui totalmente inatteso. Quello che credeva di sapere e di conoscere, tutta la sua vita dedicata all'attesa, si trova difronte a un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Finché era chiuso nella sua idea di Dio e di salvezza, non poteva “conoscere” Dio che in Gesù si fa ultimo, che sta con i peccatori; l'agnello che toglie, cancella, elimina il peccato del mondo. L'esperienza di fede si concretizza nella "non-conoscenza" che dà senso alla vita nella sua quotidianità, ma aperta all'inaspettata azione dello Spirito. Giovanni lascia alle spalle la sua non conoscenza, guarda lontano, contempla lo Spirito, diventa testimone oltre il suo limite umano; la sua testimonianza offre in chi la accoglie il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,18).