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TESTO Vino nuovo in otri nuovi

don Angelo Casati   Sulla soglia

Ottava del Natale del Signore - Circoncisione del Signore (01/01/2020)

Vangelo: Lc 2,18-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,18-21

18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Voi mi perdonerete se, in questa ottava del Natale, che segna anche l'inizio dell'anno nuovo, non indugio, se non brevemente, sulla circoncisione del bambino. I segni cambiano. Quello era un segno per dirgli che non era un solitario, che era in un "insieme", faceva parte di un popolo. Di un popolo sì, ma subito il salmo allarga: "Gioiscano le nazioni e si rallegrino". Ed è come se mi si dicesse: "Guarda che nella tua carne c'è un segno contro l'essere solitari, una vocazione a sentirti parte di un popolo, parte dell'umanità. Mi sento?

Ma vorrei confidarvi che, quest'anno, i pochi tratti del racconto di Luca mi hanno lasciato in cuore come un senso di stupore e di pace, come ci fosse nel breve racconto un incrociarsi di sguardi buoni, quello di Maria che va dal bambino ai pastori, quello dei pastori che va dalla mangiatoia alla città, quello degli abitanti della città che guardano con stupore i pastori, superando l'atavico pregiudizio che li confinava tra gli scartati, gli irregolari. Parlano gli scartati, gli irregolari.

Ci si stupisce per parole di pastori, come se si cambiasse lo sguardo sul mondo. C'è tenerezza, e tutto sembra aver origine da quella ragazza giovanissima che tiene in braccio un bambino di otto giorni. Fa tenerezza come lo guarda. Vedete, noi, contemplando una mamma che tiene in braccio un bambino, cambiamo. La scena non è lontana da noi, è nel quotidiano. A volte ti viene voglia di appuntarla. Ricordo anni fa su un autobus di città:

Isola senz'anima / l'autobus affollato / che ti strattona violento / nel paradosso della modernità / e a distanze stellari. / Spenti i volti / gli occhi fissano vuoti / grigiori lontani. / E quasi è / anticamera del nulla. / Cerchi, quasi naufrago, / un segno. / Ti seduce inatteso / volto di donna / che gioca ai sorrisi / col bimbo / stretto in un marsupio. / E volto cerca volto / in giochi inesausti / di tenerezze. / Ora sai / che per avventura / e per grazia / può fiorire / anche il deserto.

Ti viene un senso di pace, che cancella ogni urlo di odio e di guerra. E al centro della scena con il suo bambino una donna, giovanissima. A volte quando penso alla storia, la nostra fatta di guerre e di armamenti, quando penso a un papa che dice immorale anche solo il detenere una bomba atomica, quando penso al nugolo di guerre che costellano tragicamente oggi la nostra terra, mi chiedo se a sconfiggere il drago non sarebbe una presenza più determinante - negata purtroppo - della donna a tutti i livelli.

Il femminile sembra riconoscere con maggior acutezza e immediatezza le ragioni della pace: vorrei dire più che il maschile, che non raramente sposa le ragioni del dominio. Diamo posto, il posto che compete. E ringraziamo Dio per aver assistito, nell'anno che ci lasciamo alle spalle, all'emergere di figure di donne, anche giovanissime, che pongono all'attenzione di tutti le ragioni della fraternità, della salvaguardia del creato, le ragioni del futuro delle nuove generazioni, fuori da arroccamenti e miopie. Come fossimo convocati a dare concretezza e spinta alle ragioni che costruiscono una vera pace.

Un appello forte e limpido al cambiamento. E ora vorrei proprio sostare su questa parola "cambiamento". Quando ci facciamo auguri per l'anno nuovo, a me sembra, se non erro, che non ci auguriamo solo di aggiungere nuovi giorni. La parola "nuovo" dice "cambiamento". Ebbene vorrei dirvi quanto mi ha colpito questa parola "cambiamento" nel discorso che papa Francesco tenne, il 21 dicembre scorso, alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi.

Mi ha molto colpito ritrovare le parole del papa nell'editoriale di ua rivista laica, con il riconoscimento aperto che quelle parole sono luminose e stringenti, sono profezia, non solo pe la comunità ecclesiale, ma anche per quella civile e politica. Non ci si rende conto - dice il papa - che "quella che stiamo vivendo non è semplicemente un'epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza.

Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima". E il papa dà segni del cambiamento: "Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede - specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell'Occidente - non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata".

Voi mi capite: se, al contrario, noi pensiamo, parliamo e operiamo senza accorgerci che il cambio di epoca è radicale, pensiamo, parliamo, operiamo a vuoto. E ciò vale per la chiesa, vale per i nostri figli, vale per il mondo. Al termine del suo discorso papa Francesco ricorda le ultime parole di una intervista- testamento che Il cardinale Martini rilasciò pochi giorni prima di morire. Disse parole che devono farci interrogare: "La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa.

La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l'amore vince la stanchezza". Si tratta di credere nel cambiamento, di credere nella nostra capacità di inventare e immaginare modalità nuove, perché il vangelo arrivi al cuore e germogli in nuovi frutti. E mi ritorna la parabola di Gesù. Quel giorno, in risposta agli osservanti, che si rifiutavano al nuovo, disse: "Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi" (Lc 6,37-39).

Ci dia immaginazione il Signore. Perché possiamo versare il vino nuovo del vangelo in otri nuovi.

 

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