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TESTO Anche tu servi a qualcosa...

don Angelo Casati   Sulla soglia

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Domenica nell'Ottava del Natale (29/12/2019)

Vangelo: Gv 1,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,1-14

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Forse perché il mistero della nascita di Gesù non impallidisca o forse perché nessuno pensi di averne esaurita la bellezza nel giro di pallide parole, o nel giro di pochi anni, ad alcuni giorni dalla nascita la liturgia ci invita a leggere il prologo del vangelo di Giovanni. Che è pura contemplazione e, insieme, pura poesia, Per questo mi tocca chiedervi perdono per la mia voce che spegneva l'incanto: oggi avremmo avuto bisogno di una voce che restituisse colori alle parole. E non solo alle parole del prologo, perché il sussulto della poesia - ve ne siete accorti - oggi percorreva anche le parole del libro dei Proverbi.

Io vorrei sostare con voi su due suggestioni. Da brivido. Che troviamo nel prologo e ritroveremo anche oggi nel credo della Messa, parole che corrono il rischio di diventare cantilena, o recita stanca, anonima, senza sussulti. Frasi fatte? O parole che spingono immaginazioni, sentimenti, vibrazioni? Il pericolo riguarda me per il primo. La prima delle due suggestioni è questa, porta lontano e porta vicinissimo. Porta lontano, si parla dell'"in principio": "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio... tutto fu fatto per mezzo di lui". E Giovanni - pensate - sembra fare un appunto alla Bibbia che dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra".

Giovanni sembra dire: "Portate gli occhi più in là e contemplate: in principio era il Verbo, era la Parola, era prima della creazione". Noi a volte parliamo come se Il Verbo, il Figlio di Dio, iniziasse il suo corso con l'avventura umana di Gesù, agisse dal giorno della sua nascita. E cancelliamo un suo essere e operare ancor più lontano. Era prima della creazione, e poi presente nel fiorire incessante della creazione. Potremmo dire: accanto al Creatore e protagonista nella creazione. Il prologo canta: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui".

"Tutto": pensate la nettezza di questa affermazione. "Tutto è stato fatto per mezzo di lui". E oggi la lettera ai Colossesi faceva eco scrivendo: "In lui furono create tutte le cose". Ma capite come questa affermazione allarghi i confini, faccia sgranare gli occhi, li faccia spaziare sino all'"in principio dell'in principio". Ci dà uno sguardo che attraversa miliardi di anni. Fuori dalle nostre miopie e meschinità di visione, fuori dalle nostre ristrettezze, fuori dalla cecità dei nostri confini. "Tutto per mezzo di lui". Tutto: ogni uomo, ogni donna, ogni cosa, il filo d'erba e la polvere delle stelle, tutto.

Voi mi capite, come se dicessimo che tutto reca lo stigma dell'architetto, un segno su tutto. Su tutto la sua firma. Ti cambia lo sguardo: vai per la strada, guardi e dici: "tutto". Sali su un autobus e dici: "tutto". Entri in una casa e dici: "tutto per mezzo di lui". Lo stigma, la firma: su una religione e su un'altra, su un popolo e su un altro, su una cultura e su un'altra. "Tutto per mezzo di lui". Se ce lo dicessimo più spesso, e non ce lo ricordessimo solo nella chiese! Non pensate che nascerebbe rispetto, rispetto profondo per tutto, quel rispetto che oggi - così mi sembra - sta venendo meno per livore o sguaiataggine o quant'altro?

E non pensate che lui, Gesù, è venuto anche per questo, o soprattutto per questo? Per ricordarci questo: che siamo opera sua. E che in principio, come ha scritto un teologo, in principio era la gioia. La gioia era come impigliata alla creazione, al tutto e se manca - e come manca! - ci tocca ripristinarla! Era scritto nel libro dei Proverbi: "Quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo".

Ponendo le sue delizie tra i figli dell'uomo. E queste parole mi portano alla seconda suggestione del prologo. Dove è scritto: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare - "mise la sua tenda" - in mezzo a noi". Notate Giovanni dice "si fece carne". Noi ci saremmo aspettati che scrivesse: "Si fece uomo". No usa il termine "carne" che significa l'uomo nella sua totale debolezza. Voi mi capite, poteva farsi uomo nel segno della superiorità, della smisuratezza, della potenza, dell'invincibilità, della sicurezza.

No, si fece carne. E dunque nel segno della fragilità, della debolezza, della piccolezza, della possibilità di essere ferito, di morire. Lasciatemi dire: perché ognuno di noi lo potesse sentire compagno di cammini, noi che possiamo essere feriti dalla vita, noi che moriamo. Perché in ogni fragilità umana, nostra e della natura, potessimo scoprirlo presente. E perché ci prendessimo cura di lui nei deboli, nei poveri, nei non garantiti. Sono certo che ricordando questi nomi, voi li intravedete, passano davanti ai vostri occhi. Che ancora hanno limpidezza.

Si è fatto carne, si è fatto carne in una umanità debole, perché tu non ti scoraggiassi davanti alla tua debolezza, davanti alla tua fragilità, davanti alla tua insicurezza; e, a tua volta, dessi fiducia e risollevassi a speranza chi sulla propria pelle ne porta i segni ed è tentato di disperare. Perdonate, alla mente mi è ritornata una sequenza di un film di cui - immagino - altre volte vi ho parlato. Racconta con tenerezza struggente e poesia quanto le mie parole non sanno dire.

La sequenza è quella di Zampanò e Gelsomina in un film di Federico Fellini, "la strada". Zampanò, un giostraio, a una donna sconsolata e prosciugata, a Gelsomina, dice: "Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro. Tu non ci crederai, ma tutto quello che c'è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso li, per esempio...". " Quale?". "Questo... Uno qualunque... Be', anche questo serve a qualcosa: anche questo sassetto". "E a cosa serve?". "Serve... Ma che ne so io? Se lo sapessi, sai chi sarei?". "Chi?". "Il Padreterno, che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi può saperlo? No, non so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo".

Si è fatto carne. Anche tu servi a qualcosa!

 

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