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TESTO Vita, dolcezza e speranza nostra

don Alberto Brignoli  

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Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria (08/12/2019)

Vangelo: Lc 1,26-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38

In quel tempo, 26l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Dio disse all'uomo: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo”. Poi gli diede questo comando: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”.

Tutto ebbe inizio così, con l'uomo e la donna collocati da Dio all'interno del giardino dell'Eden, dove tutto era in loro possesso (beh, del resto, c'erano solo loro due...) e dove essi potevano fare veramente tutto ciò che volevano. O quasi. Già, perché Dio - dimenticavo, c'era anche lui in quel giardino... - sa bene di averlo fatto a sua immagine e somiglianza, ovvero totalmente simile a lui. Ma sa pure molto bene che “simile” non vuol dire “uguale” o “come” lui: e allora, alle meravigliose perfezioni del genere umano che lo rendono “simile” a lui, aggiunge alcuni limiti, che gli possano ricordare di essere, appunto, solo “simile” a lui e “a immagine” di lui.

Tra tutti, un limite: la conoscenza del bene e del male. O, per dirla più semplicemente, la comprensione dei misteri della vita. Una comprensione che l'uomo può raggiungere solo al termine di un cammino; un cammino che dura una vita, dove l'esperienza, il pensiero, la riflessione, l'interpretazione delle cose, i progetti, le idee, i tentativi per comprendere cosa sia bene o male, cosa sia giusto o ingiusto, ci portano a mettere insieme le tessere di un mosaico che comprenderemo solo alla fine. Non si possono bruciare le tappe di una vita, occorre pazienza, paziente attesa che il mistero della vita ci si riveli a poco a poco. E allora, Dio ci mette dei paletti: possiamo fare tutto, ma dobbiamo accettare che ci sia un “ma” e un “no”. “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma non dell'albero della conoscenza del bene e del male”. E perché? “Perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”: appunto, proprio perché la conoscenza totale dei misteri della vita arriva solo alla fine. E se non vuoi attendere la fine, e osi conoscere tutti i misteri della vita prima del tempo, è inevitabile che tu debba anticipare la fine, la tua fine: “Certamente, dovrai morire”.

Del resto, fin da bambini, ci sono sempre stati detti dei “no”, per crescere: se non accetterai quei “no” come parte integrante del tuo percorso educativo, non arriverai mai alla piena maturità. E ogni bambino sa bene che non c'è come ciò che è proibito, a essere allettante e piacevole... Provate a insistere con un bambino dicendogli: “Attento, questa cosa non è da toccare, questa cosa non è da fare, perché altrimenti succedono cose brutte!”, e sicuramente in lui susciti la curiosità, il desiderio di farla. Da adulti, poi, si è meno innocenti, e alla curiosità e al desiderio si aggiungono la morbosità, il gusto, il piacere del “frutto proibito”. Perché poi ci si mette di mezzo pure il fatto che il proibito diviene non solo desiderabile, ma anche piacevole: e in questo, “il più astuto degli animali selvatici creati dal Signore” ci gioca dentro, eccome...

Ma non diamo a lui, la colpa dell'origine del male, di quello primordiale e di quelli puntuali e quotidiani: prendiamoci le nostre res-ponsabilità, ris-pondiamo, pesiamo le cose e le parole che rivolgiamo a Dio quando interpella la nostra coscienza e ci chiede “dove sei?”. Inutile nasconderci per paura di Dio; inutile nascondere le nostre nudità e le nostre miserie dietro a una cintura intrecciata di foglie di fico. Perché se pensiamo che le foglie di un albero possano salvarci dalle nostre responsabilità, allora pensiamola bene fino in fondo, e ci accorgeremo che, se è un albero ad averci condannato, sarà ancora un albero a darci la salvezza.

Se il nostro tendere la mano a cogliere il frutto dall'albero della conoscenza del bene e del male, che alla fine del racconto si svelerà essere l'albero della vita, diviene causa della nostra morte, dobbiamo sapere, ed esserne pure ben certi, che saranno altre mani, distese sull'albero della morte, a ridarci la vita. Da quello che per noi era l'albero della vita, custodito al centro del giardino, la nostra disobbedienza di uomini ingiusti ha colto il frutto della morte; da quello che per l'uomo era l'albero della morte - il legno della croce - l'obbedienza dell'unico Giusto ha colto per noi il frutto della vita.

Così fa Dio: quello che si nasconde ed è seminato dentro apparenze di morte, diviene per noi germoglio di vita. E questo, Dio non lo fa attraverso una serie di miracoli o di prodigi che sconvolgono il quotidiano fluire della storia. Lo fa attraverso la nostra povera e quotidiana umanità. Lo fa attraverso la natura umana; lo fa attraverso la nostra stirpe, la nostra discendenza, a cui il serpente insidierà continuamente il calcagno, ma senza ferirla mortalmente, perché “lei”, la “stirpe della donna”, ciò che dalla donna è generato, schiaccerà la testa del serpente. Che non muore, purtroppo: continua a insidiare il calcagno dell'umanità, ma non può vincerla. Perché il male non ha l'ultima parola sulla storia dell'uomo.

Certo...è una grande promessa e una parola di speranza: ma chi ci assicura che è davvero così? Che certezza abbiamo, di questa promessa? Cosa ci viene dato in pegno, perché questa alleanza abbia valore? Chi ci assicura che sarà sempre, davvero così?

Ci pensa ancora Dio, ancora una volta lui: ma non è lui la certezza, il pegno della nostra immortalità di fronte agli attacchi del male. La certezza che lui ci dà è sua Madre; il pegno della nostra salvezza è la Donna, quella con la “D” maiuscola, quella in cui ogni donna ha la fortuna - no, noi maschi non l'abbiamo! - di potersi rispecchiare e di poter sperare che dalla propria discendenza nasca ogni giorno un pezzetto di umanità nuova.

“Vita, dolcezza e speranza nostra”: così la invochiamo. Ogni volta che da un grembo nasce vita, rinasce la speranza, e ogni volta che diamo voce alla speranza, diamo voce alla Vita: quale augurio più dolce di questo, in vista del Natale ormai vicino?

 

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