TESTO Qualcosa che vada oltre
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2019)
Vangelo: Lc 20,27-38
In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Fino a poco prima del Concilio Vaticano II, esisteva, nella prassi del confessionale, la cosiddetta “casistica”, che era resa visibile anche da un testo, il cosiddetto “libro dei casi”; il confessore, ricevuta l'accusa dei peccati da parte del penitente, per sapere quale tipo di penitenza dare, corrispondente e adeguata al peccato commesso, poteva consultare il suddetto libro, dove avrebbe trovato un vero e proprio prontuario, a volte corredato addirittura di tariffe, se si trattava di commutare la penitenza con una sanzione pecuniaria sotto forma di “obolo” per la Chiesa. Tutto questo corrispondeva non solo a una visione eccessivamente giuridica e giudiziale del sacramento della penitenza, ma più in generale a un'idea di Dio distorta, o quantomeno parziale: Dio è il giudice supremo delle nostre vite, per cui ha tutto il diritto di trattarci come farebbe un giudice nel momento in cui dobbiamo affrontare un processo. E poiché almeno da lui possiamo aspettarci imparzialità e rettitudine, possiamo essere abbastanza certi che a un nostro comportamento corrisponderà un premio, oppure un castigo, adeguato e consono.
E così, un Dio giusto giudice diventa un Dio affidabile, un Dio su cui poter fare affidamento: un Dio che, di fronte alle richieste che gli vengono fatte o ai quesiti che gli vengono posti dinnanzi, risponde in maniera adeguata, giusta, precisa, con risposte e indicazioni che diventano vincolanti e inappellabili. Che bello, avere un Dio così! Gli chiedi una cosa, gli presenti anche l'interrogativo più complesso, il caso più assurdo, più irrisolvibile, e lui ti da la risposta precisa, che non offre spazio a interpretazioni! Con un Dio così, è praticamente impossibile sbagliare: come è possibile andare fuori strada, con un Dio che decide in tutto e per tutto al tuo posto, e soprattutto senza mai sbagliare?
Questo, probabilmente, è il Dio che andava bene ai sadducei del Vangelo di oggi: i quali presentano a Gesù, un caso talmente limite da non essere presente nemmeno nella legislazione di Mosè. Esisteva, certamente, la Legge del Levirato, che dava la possibilità a una vedova di risposarsi col fratello del defunto marito: ma altrettanto certamente, questa prassi si verificava solo una volta, e non sette, come provocatoriamente dicono i sadducei a Gesù. Ma per loro, anche qualora ciò avvenisse, il Dio che hanno in mente sarebbe capace di risolvere ogni cosa, anche di stabilire chi dei sette fratelli di cui parlano nel Vangelo avrebbe dovuto, in un eventuale aldilà, sposare la donna che in vita li aveva sposati tutti. La domanda è sarcastica: per i sadducei, neppure Dio avrebbe potuto risolvere quel caso, per un semplice motivo, ovvero che l'aldilà non esiste, e che Dio qui può e deve essere un giudice perfetto e imparziale perché qui, sulla terra, è necessario avere un Dio così. Un Dio che eviti l'anarchia, il caos, che metta a posto le cose, che governi con pugno di ferro, possibilmente dando le chiavi del potere proprio ai sadducei, che non aspettavano altro.
Se l'aldilà non esiste, vuole dire che essere santi significa essere perfetti qui, su questa terra: e un Dio giusto giudice contribuisce a creare questo clima, perché per essere santi, è sufficiente che gli obbediamo come lui vuole. Vivere la vita non è difficile, e non c'è neppure motivo o occasione di errore, malizia o incomprensione: basta fare sempre il proprio dovere, senza mai voler fare di testa propria, e invitare gli altri a fare altrettanto. Con Dio che controlla tutto, ricompensa tutto e tutto condanna, la vita qui sulla terra non avrebbe più alcun problema.
Sennonché, c'è un altro modo di intendere e vivere la vita: ed è quello che va oltre la sfera materiale, e proprio per questo non accetta un Dio giusto giudice distributore automatico di grazie, oppure robot automatico che risponde a ogni nostra richiesta. C'è un Dio che chiama l'uomo ad andare “oltre” la pura sfera della materialità, e che invita l'uomo a incontrarlo nella sua dimensione più vera, che comporta anche alzare lo sguardo al cielo e vedere che abbiamo una speranza, in tutte le cose che facciamo, che va ben oltre la morte. E che questa speranza nell'“oltre” ci evita la terribile situazione di diventare degli “automi” della fede, che fanno le cose programmati e preordinati, aspettando che Dio ci premi o ci castighi per quanto abbiamo fatto, né più ne meno.
No, c'è una speranza che va oltre la morte e che ci obbliga a rimetterci in gioco ogni volta, da capo, sperando che quel bene che compiamo, di qualsiasi tipo esso sia, non si debba ridurre a un insieme di azioni prefabbricate e preordinate, ma sia la risposta alla grazia di Dio che va ben oltre il nostro desiderio di ridurre lui e le cose di fede a delle rispostine immediate, che lasciano tutti più tranquilli, o a dei compitini da assolvere per poterci dire “a posto”.
Troppi cristiani vivono la loro vita di fede come un'obbedienza a un Dio giudice che chiede di compiere con i minimi doveri di credente: andare a messa ogni domenica, confessarsi e fare la comunione ogni tanto, dire le preghiere ogni tanto, non uccidere e non rubare, e siamo a posto! Tanto, poi, tutto quanto finisce con un po' di terra e una lastra di marmo sopra, e punto! Questo, però, è un Dio morto, è un Dio dei morti che impedisce di respirare vita e speranza nelle cose che si fanno.
Il Dio di Gesù Cristo è un Dio dei viventi: e le cose che si fanno per fede, credendo in lui, vanno ben oltre la sfera della materialità e della casistica. Chi crede nel Dio di Gesù Cristo sa bene che lui è risorto e ci ha voluto tutti quanti risorti con lui, non in un mondo futuro che dovrà venire, ma qui, nella vita di ogni giorno. Come? Facendo il nostro dovere minimo, ma non solo; compiendo con i precetti minimi della fede, ma non solo; interpretando i fatti concreti della vita di ogni giorno alla luce della nostra natura umana, ma non solo. Perché la vita di fede non è un insieme di casi da risolvere volta per volta affidandoci al Dio che ha le risposte pronte per tutto; vuol dire, fondamentalmente, andare dietro a Gesù riponendo tutta la nostra fiducia in lui, che è il Dio dei vivi, non dei morti, e per questo ogni giorno ci fa ripartire da capo.
Del Dio dei morti, con la rispostina pronta per ogni evenienza, francamente, non sappiamo che farcene!