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TESTO Il dono raro del “Grazie"

don Mario Simula   ufficio catechistico diocesi di Sassari

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2019)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Un uomo lontano dalla fede, un uomo di buona volontà, ignaro del Dio di Israele, è profondamente turbato da un grande dolore: ha scoperto nel suo corpo la piaga della lebbra. Usa tutti i mezzi della sua fede pagana e oscura per essere guarito.
Inutilmente. Il profeta Eliseo, uomo di Dio, si immedesima nel suo affanno mortale. Lo fa con rispetto, senza presunzione, con sincero atteggiamento di condivisione e gli propone di immergersi nel Giordano: il fiume dei miracoli di Dio.
Dopo tante resistenze, quest'uomo, ai margini della fede, accetta si bagna nel fiume di Dio ed esce dalle acque completamente purificato dal suo male odioso. In quel momento in lui si accende la luce della fede. E' felice della guarigione. Ma è soprattutto desideroso di ringraziare il Dio di Israele. Lo vorrebbe fare con tanti doni materiali. Riflettendo comprende che l'unico modo per dire grazie a Dio è riconoscere che Lui è l'Unico.
Lui solo merita l'adesione del nostro cuore.
Lui solo ci conduce a credere in modo semplice, umile, riconoscente. E' come se quell'immersione fosse una purificazione battesimale dalla quale si emerge nuovi.
Gesù sta andando a Gerusalemme, verso la croce, verso il dono di sé. Lungo la strada gli vengono incontro dieci lebbrosi. Gli veniamo incontro noi con le nostre lebbre, con l'incertezza della nostra fede, con gli equivoci e le ambiguità della nostra vita.
Siamo noi quei dieci che non si rendono conto che la fede non è né un talismano, né un tesoretto. La fede è fidarsi della parola di Gesù. Fidarsi di lui. Abbandonarsi ai suoi tempi e alla sua provvidenza. La fede è fatica di un cammino. E' custodia di un dono che ogni giorno dobbiamo curare per non smarrirlo. E' una grazia che non possiamo spegnere con la nostra mediocrità o con la nostra presunzione. La fede è Gesù davanti a me, al quale mi rivolgo come un povero mendicante.
Lui mi rimanda ai sacerdoti. Se ci pensiamo bene ci rimanda alla Chiesa. Mentre percorriamo questo itinerario di appartenenza ad una comunità; mentre crediamo ai doni che la comunità, in nome di Gesù, mette a nostra disposizione, la lebbra scompare. Restiamo purificati. Ci siamo affidati alle mani giuste: quelle di Gesù che continuano ad essere operose e instancabili nella comunità dei credenti.
Gesù nel farci il dono della fede non ci chiede appartenenze, certificati. Possiamo essere anche samaritani, eretici. Purché il nostro cuore sia all'unisono con il suo.
A lui solo mi rivolgo. Perché in lui solo credo. Perché lui solo mi salva. Se riesco, con l'aiuto dello Spirito, a scoprire in me queste venature stupende della fede, non mi accontento solo della guarigione. Sento il bisogno di ritornare per lodare Dio a gran voce per prostrarmi ai suoi piedi, per ringraziarlo.
Il ringraziamento è il profumo soave e inebriante della fede, della consapevolezza di aver ricevuto un dono gratuito. Può capitarmi, però, di ricevere i doni di Dio e in quel momento non sentire più bisogno di lui. Basto a me stesso.
“Non sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?”.
La mia avventura con Dio rischia di concludersi con il dono ricevuto. Non fa l'ulteriore passo del rendimento di grazie, dell'amore.
Gesù potrebbe chiederci: “Dove vi siete smarriti? Occorre proprio essere samaritani, cioè lontani, per avere la certezza di aver ricevuto un dono immeritato?”.
A volte mi chiedo se il rendimento di grazie che rendiamo nelle nostre comunità, corrisponde a un atto di amore o non piuttosto alla sicurezza di chi ormai si sente appagato. Devo ritornare a dire grazie a Dio, altrimenti non sentirò mai risuonare nel mio orecchio e nel mio cuore le parole di Gesù: “Alzati, figlio mio, la tua fede ti ha salvato!”.
Non possiamo stancarci mai della melodia di queste parole, senza smarrire la gioia dell'amore riconoscente.

Gesù, scelgo di essere un samaritano se questa condizione di povertà mi fa ritornare davanti a te per dirti grazie.
Gesù, ti sei accorto che il fervore di tante mie preghiere dura fino all'esaudimento? Li si ferma. Sono soddisfatto. Che bisogno ho ormai di te?
Gesù, mai come in questo momento comprendo la grettezza, la meschinità del mio cuore. Mi sento come uno che ha fatto con te un patto dare-avere.
Gesù, io ti do le mie preghiere e la mia fede a tempo determinato. Quando sono stato esaudito, non sono più tenuto ad alcuna parola presa con te.
Gesù, sicuramente tu ti sei reso conto di questa mia condizione. Non è altro che la rivelazione di una fede interessata, chiusa nei miei bisogni.
A me sere il respiro di una fede generosa, affidata, riposta nelle tue mani.
Sento di aver bisogno di una fede che si smarrisce in te, che è pronta a percorrere i sentieri della ricerca per trovare te.
Gesù, ho bisogno struggente di sentirmi dire da te: “Figlio mio, amico mio, la tua fede ti ha salvato”.
Tu, Gesù, sei talmente buono e generoso, che attribuisci alla mia misera fede il dono che solo la tua misericordia mi ha concesso.
Gesù, per questo mi domando se la mia fede è forte, fondata sul tuo amore e sulla tua parola, costruita sulla certezza dei tuoi tempi e del tuo amore.
Gesù, comprendo che di una fede interessata, occasionale, stagionale, non sai che fartene.
Tu, Gesù, desideri me, debole ma radicato nella tua potenza, insicuro ma radicato sulla tua certezza, peccatore ma radicato sul tuo perdono, lebbroso ma radicato sulla tua guarigione.
Capisco, Gesù, che non ho bisogno di cose. Ho bisogno di TE.
Ho bisogno che la lebbra che si è impadronita delle mie ossa e delle mie viscere, sia guarita dalle tue mani che mi toccano, dal tuo sguardo che non fugge, dal tuo odorato che non prova schifo, dalle tue orecchie che non si stancano del mio lamento, dal tuo gusto che sa baciarmi sulla bocca nonostante il ribrezzo della mia miseria.
Gesù, permettermi di dirti tutte questo cose, altrimenti ho l'impressione di non credere abbastanza in te.
Se non sono blasfemo, Gesù, permettimi di infastidirti, di non stancarmi anche se stanco TE. Non conosco altre ginocchia che possano accogliermi, non conosco altre braccia che possano stringermi, non conosco altre guance che possano accostarsi con gioia alle mie, macchiate dal male.
Gesù, sono felice che dal mio nulla riesca a dirti GRAZIE. Ancora GRAZIE. Instancabilmente GRAZIE.

Don Mario Simula

 

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