TESTO Self service della salvezza o banchetto della Grazia?
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/08/2019)
Vangelo: Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Nel catechismo classico che molti di noi hanno imparato e che oggi, per vari motivi a volte plausibili a volte meno, è divenuto un po' inusuale, si parla anche dei “peccati contro lo Spirito Santo”, ovvero di quei peccati che - secondo quanto viene riportato nei vangeli sinottici - non saranno perdonati, mai. Sembrano affermazioni in contraddizione con il concetto della misericordia infinita e universale di Dio, che tutto perdona: quando poi il catechismo passa a elencarli in maniera puntuale e precisa (sono sei, per l'esattezza), si comprende come effettivamente possa accadere che ci siano peccati o modi di attuare e di pensare veramente “imperdonabili”. Tra essi, il primo a essere citato è il peccato di “disperazione della salvezza personale”, ovvero la convinzione che la misericordia di Dio sia inefficace, quantomeno sul soggetto che lo pensa, per cui diviene inutile qualsiasi tentativo di affidamento a Dio, di desiderio di dare un senso alla propria vita. Pensieri che portano a gesti disperati, a volte: talmente disperati e disperanti della bontà di Dio che la Chiesa, fino a poco tempo fa, rifiutava di concedere il funerale cristiano a chi si toglieva la vita. Mi auguro che si estinguano presto eventuali uomini di Chiesa che attuano ancora in questo modo, gettando ancora più nella disperazione della salvezza non tanto chi si è tolto la vita, ma i familiari e gli amici che restano a interrogarsi sul perché di questa disperazione: anzi, sono proprio questi i momenti in cui la comunità dei credenti deve essere vicina ai drammi esistenziali di ogni uomo e di ogni donna, offrendo, ancora una volta, anche se può sembrare inutile, l'immagine misericordiosa di un Dio che ci vuole tutti salvi. Per cui, già da questo, si intuisce la mia naturale diffidenza nei confronti di questo concetto della “disperazione della salvezza” come inficiante la fede di una persona: un disperato è un disperato, e se a queste persone si nega la possibilità comunque di accedere alla salvezza nonostante la loro non piena adesione e non piena coscienza, a mio avviso si va contro l'annuncio fondamentale della nostra fede, e cioè che Dio ci vuole tutti salvi, e tutti salva in Cristo Gesù suo figlio.
Piuttosto, c'è qualcos'altro che mi intriga particolarmente tra i suddetti “peccati imperdonabili”, ed è quello che nella lista viene solitamente elencato per secondo: la “presunzione di salvarsi da sé”. Mi intriga non tanto perché mi piaccia, ma perché - nonostante credo tutti siamo d'accordo nell'affermare che nessun credente può salvarsi da solo, bensì confidando nella grazia di Dio - temo sia un peccato nel quale rischiano di incorrere molti più cristiani di quanto si possa pensare. Non vi rientrano, infatti, solamente quelli che ritengono inutile affidarsi a Dio e a tutto ciò che lo riguarda perché - tant'è - tutti quanti possiamo salvarci facendo del bene, quindi con le nostre sole opere, frutto delle nostre grandi o piccole doti di filantropia (per le quali, beninteso, è inutile la presenza di Dio); sono invece convinto che in questa categoria dei “salvati self service” rientrino anche coloro che non solo non ritengono inutile la presenza di Dio nella loro vita, ma che addirittura la ritengono utilissima, fin troppo “utile”, al punto di considerare Dio un loro “utensile”, da usare a piacimento, da tirare fuori come carta vincente in ogni momento in cui ciò sia necessario. Sulla scorta di che cosa? Sulla scorta della loro totale, assoluta, e oserei direi eccessiva familiarità con Dio: talmente eccessiva, questa familiarità, che Dio non può non tenerne conto, e quindi si trova “costretto” a concedere loro la salvezza, che a questo punto non è più opera della Grazia di Dio, bensì - eccolo qui il peccato - della presunzione di salvarsi da sè, o meglio, della pretesa di potersi già considerare salvi perché familiari a Dio come nessun altro.
È il vangelo di oggi a suggerirmi questi pensieri, e mi auguro di non sbagliarmi, nell'interpretare in questo modo la risposta di Gesù a quel tale che gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Se albergasse disperazione o presunzione di salvezza, nel soggetto in questione, non lo sapremo mai: forse, un po' di dubbi, di incertezze, legati ai discorsi di Gesù che nelle domeniche precedenti parlava della ricchezza non come segno della benedizione salvifica di Dio, ma di un potenziale nemico della salvezza. A questo punto, veniva spontaneo chiedersi: “E chi si salva? Quanti si salvano? È possibile, e soprattutto, è facile salvarsi, con un Dio che non vede più nemmeno i beni materiali come segno di benedizione?”. Gesù risponde con il paragone di una “porta stretta” che, di primo acchito, farebbe pensare a una fatica, a una difficoltà nell'accedere alla salvezza: la salvezza sarebbe quindi qualcosa che si ottiene con sforzi, sacrifici e ascesi. Poi, però, quando narra questa micro-parabola del padrone che chiude la porta stretta in faccia a chi pretendeva di doverci passare ad ogni costo, si capisce meglio chi siano quelli che troveranno particolarmente angusto il passaggio da quella porta.
“Non so di dove siete”: giustamente, non si apre la porta agli sconosciuti, prima di aver verificato la loro identità. Il fatto è che nel momento in cui questi rivelano la propria identità, il rifiuto diventa peggiore, perché non solo il padrone li ritiene dei perfetti sconosciuti, ma addirittura li qualifica come “operatori di ingiustizia”. E quale sarebbe l'ingiustizia da loro commessa? Lo sentiamo dalle loro stesse parole: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Qualcosa non torna: il padrone dà dei disonesti a persone che hanno bevuto e mangiato con lui e hanno seguito i suoi insegnamenti! Tradotto: “Siamo venuti al banchetto eucaristico ogni domenica, e abbiamo ascoltato sempre la tua parola, come facciamo a non salvarci?”. Dove sta l'ingiustizia? Dov'è che questi tali si sarebbero comportati iniquamente, al punto da rimanere fuori dalla porta del Regno?
Forse, proprio in questa loro presunzione. Forse, proprio in questo loro pensare, che spesso, purtroppo, è anche quello di noi cristiani “benpensanti”: “Figurati se noi non ci salviamo! Siamo sempre in Chiesa! Siamo una cosa sola con Dio! Siamo i suoi prediletti! Mica siamo come quelli che non si fanno mai vedere, o come quelli che non credono e poi quando sono nel bisogno vanno a chiedere perdono a Dio! Staranno fuori quelli, dalla salvezza! Noi ci siamo dentro, in pieno: ne abbiamo tutti i diritti!”. Con Dio non funziona così: non si salva chi avanza pretese e diritti nei suoi confronti. Gente così, non ha bisogno di Dio: si serve della grazia da sola, prende il suo vassoio e mangia tranquillamente al self service della salvezza.
Dio, invece, salva l'uomo invitandolo a un banchetto, al quale sederanno Abramo, i patriarchi e i profeti che hanno creduto e sperato in lui, contro ogni speranza. E per di più, verranno “da oriente e occidente, da settentrione e da mezzogiorno”, per sedere al banchetto della Grazia. Con che diritto? Con quali crediti? Con quali pretese? Con quali meriti? Nessuno: se non quello di sapere che è Dio che salva, e non le nostre presunte credenziali di cristiani per bene.