TESTO Ricordati, ti ho preso dal gregge!
don Angelo Casati Sulla soglia
IX domenica dopo Pentecoste (Anno C) (11/08/2019)
Vangelo: Mt 22,41-46
41Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42«Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo:
44Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi?
45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.
Che cosa sta prima e che cosa sta dopo il brano del vangelo di Matteo che ora abbiamo ascoltato. Prima Gesù aveva subito un attacco devastante, senza respiro, dalle autorità religiose e morali del tempo. A ondate scribi e farisei, poi gli erodiani e poi i sadducei e alla fine, buon ultimo, ancora un fariseo, mandato a chiedergli quale fosse per lui il comandamento grande della legge. A questo punto pone lui una domanda, che si rivelerà una domanda sulla sua identità: "Voi dite che il Messia è figlio di Davide; e perché mai Davide lo chiama Signore?".
Dietro il paravento delle loro dispute teologiche delle loro dispute e delle loro elucubrazioni, una cosa era sottesa e chiara: che non gli riconoscevano la sua identità di Signore, mentre la folla, vedendo come aveva chiuso loro la bocca, era presa da ammirazione per lui. E ancora una volta ecco che chiude la bocca a loro, al loro arzigogolare sulla religione, alla ipocrisia con cui ostentano la loro appartenenza alla religione. Una religione a copertura della loro autorità, una religione asfissiata in un groviglio di precetti, un nominare il nome di Dio invano. Lui, secondo il loro giudizio, aveva procurato un terremoto nel modo di intendere Dio e la religione. Aria nuova. E ciò gli era dovuto - rianimare una religione asfittica - gli era dovuto perché lui era sì figlio di Davide, ma anche Signore di Davide. Questo era il problema!
E, dopo aver risposto all'ultimo fariseo, ecco che Gesù cambia - diremmo - interlocutori, Il vangelo di Matteo lo annota con un "allora". "Allora" - "allora", come se non ne potesse più di quelle dispute - "Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto quello che dicono. Ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono ma non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente" (23, 1-5).
Segue una pagina tra le più roventi del vangelo: Con sette invettive durissime di Gesù nei confronti di scribi e farisei, cui lega una parola inquietante, la parola "ipocriti": "Scribi e farisei ipocriti". Marchiata di nero da Gesù l'ipocrisia religiosa. Che accade quando si pronunciano nomi sacri e si fa tutt'altro. Dimenticando il monito che sta scritto nelle dieci parole: "Non nominare il nome di Dio invano", E lo si nomina a vanvera o a sproposito, o addirittura dissacrandolo. Il 15 giugno scorso il cardinale Bassetti, presidente della conferenza episcopale italiana, invitava noi tutti a mettere in campo tutta la nostra intelligenza per non lasciarci irretire dai pifferai magici di turno. Un invito a non permettere che i nomi vengano usati sconsacrandoli.
Leggevo in questi giorni una citazione che mi ha molto colpito di Albert Camus, parole che dovrebbero farci molto pensare. Scrive: "Nominare male le cose è partecipare alla infelicità del mondo". Anche il nome di Davide. Il nome Davide ricorre oggi in tutte le nostre letture. Al Messia viene dato il nome di Figlio di Davide. Pensavo leggendo che per Gesù la sua discendenza da Davide non era una discendenza puramente nominale. Quella di Davide era stata una storia segnata da Dio. Davide - dobbiamo riconoscerlo - non sempre aveva fatto ciò che è bene agli occhi del Signore, però non si sarebbe riconosciuto in una autorità spocchiosa, arrogante, delirante come quella dei suoi oppositori, estenuati dall'assillo dell'apparire, del dominare, quasi occupassero loro il posto di Dio.
Davide riconosce la distanza, riconosce la sua colpevolezza. Nonostante tutto ha conservato un cuore umile davanti a Dio: non è lui il Signore assoluto. Quasi riconoscesse e non dimenticasse le sue origini. A volte era Dio stesso a ricordagliele, quando se ne stava dimenticando. Nel secondo libro di Samuele è scritto che un giorno Dio disse al profeta Natan: "Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo (2 Sam 7,8). "Io ti presi dai pascoli". E' parola da non dimenticare. Oggi ci ha sfiorato con il suo fascino il brano tratto dal primo libro di Samuele, che racconta l'elezione a re di Davide da parte di Dio.
E dentro il racconto appaiono in tutta evidenza i criteri che guidano le scelte di Dio. Noi assistiamo - forse un po' anche divertiti - alla scena di quel padre che, sapendo che uno dei suo figli verrà unto come re, si industria a farli passare davanti uno ad uno al profeta, a partire da quelli più maturi, più appariscenti, i più forti. Ma a Samuele che stava per lasciarsi lusingare da questi criteri di grandezza, il Signore replicò: "Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Perché non conta quello che vede l'uomo. L'uomo infatti vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore". Bellissimo.
È il criterio della scelta di Dio: il cuore, non i muscoli, ma il cuore! E la scelta cadde sul più piccolo, che non era nemmeno in casa, era lontano a pascolare il gregge. Lo mandarono a chiamare e, su ordine di Dio, Samuele unse, in mezzo ai suoi fratelli, proprio lui, il piccolo, uno che veniva dal prendersi cura del gregge, dalla cura di un gregge. Mi lascio prendere dalle immagini. Due. La prima: "il Signore guarda il cuore". La seconda: "Ti ho preso dal gregge" La prima - "Il Signore guarda il cuore" - fa piazza pulita di tutte le nostre ostentazioni, sovraesposizioni, nella stagione dell'apparire. Pur di apparire facciamo di tutto. Che pena! Dio guarda il cuore. Non inganniamo e non lasciamoci ingannare. E poi com'è il mio cuore? Io sono di cuore? La seconda immagine: "Ti ho preso dal gregge".
Se pensassimo che siamo tutti stati presi dal gregge, dal paese della nostra piccolezza, dalla passione del prenderci cura del piccolo, faremmo piazza pulita da ogni sussulto di hubris, di tracotanza, di insolenza, di prevaricazione. Io sento che me lo devo ricordare: sono stato preso dal gregge, non ho niente da sbandierare. "Ti ho preso dal gregge". "Il Signore guarda il cuore".