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TESTO Commento su Matteo 22,15-22

don Michele Cerutti

VIII domenica dopo Pentecoste (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Mt 22,15-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

Ancora una volta abbiamo una provocazione nei confronti di Gesù. Diversi sono coloro che lo osteggiano. E' giusto guardare al panorama di coloro che contrastano il Maestro.
I farisei sono quelli più citati e sono coloro che attribuivano la massima importanza a tutto quanto fosse collegato all'osservanza delle leggi. Collegati ai farisei abbiamo i zeloti per cui l'aspetto politico era importante ed erano per una forte indipendenza da Roma. I sadducei erano invece per una osservanza più leggera della Torah e non credevano nella risurrezione. Gli erodiani erano ebrei sostenitori di Erode.
Questa volta farisei ed erodiani pur diversi si avvicinano per metterlo alla prova. Due gruppi opposti, ma accomunati dalla intenzione di contrastare Gesù, sul tributo a Cesare.
Gesù è osservante della Legge paga i tributi.
La questione è politica, ma ha risvolti religiosi nel contesto ebraico. Gli erodiani sostenevano il pagare il tributo, i farisei erano molto più liberi.
La risposta di Gesù non è diplomazia o una furbata per sottrarsi. C'è un aspetto che riguarda Cesare e uno che riguarda Dio e i due non sono in conflitto per cui il dare a Cesare non vuol dire togliere qualcosa a Dio e questo bisogna affermarlo contro le interpretazioni laiciste che si sono diffuse. Occorre riaffermare l'irrinunziabilità del primato di Dio a livello di coscienza e occorre per il cristiano riconoscere il primato dell'autorità civile.
Il cristiano deve impegnarsi nelle realtà della terra illuminandole con la luce che viene da Dio. La politica è anche del cristiano e siamo facili a criticare, ma quanto si prega per una buona politica.

Affidiamo la politica a San Tommaso Moro di cui vi offro una biografia tratta dal sito internet santiebeati.
Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. Dicono che tutti gli uccelli di Chelsea (all'epoca sobborgo rurale di Londra) scendano a sfamarsi nel suo tranquillo giardino. Un indice della sua fama di uomo sereno e accogliente. Thomas More (questo il nome inglese), figlio di magistrato, è via via avvocato famoso, amministratore di giustizia nella City, membro del Parlamento. Dalla moglie Jane Colt ha avuto tre figlie e un figlio; alla sua morte, si risposa con Alice Middleton.
Ha imparato a Oxford l'amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua. Scrive la vita dell'umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola; ma sarà più famoso il suo dialogo Utopia, col disegno di una società ideale, governata dalla giustizia e dalla libertà. E' un umanista che porta il cilicio, che studia i Padri della Chiesa e vive la fede con fermezza e gioia. Quando Lutero inizia la sua lotta contro Roma, il re Enrico VIII d'Inghilterra scrive un trattato in difesa della dottrina cattolica sui sacramenti, ricevendo lodi da papa Leone X e accuse da Lutero. A queste risponde Tommaso Moro, che Enrico stima per la cultura e l'integrità. Spesso lo consulta, gli affida missioni importanti all'estero. E nel 1529 lo nomina Lord Cancelliere, al vertice dell'ordinamento giudiziario. Un posto altissimo, ma pericoloso.
Siamo infatti alla famosa crisi: Enrico ripudia Caterina d'Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo. Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re: anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli. E così si comporta. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede. Lo pensa, lo dice, perde il posto e si lascia condannare a morte senza piegarsi.
Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia". Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell'esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare). Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d'oro. Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono. Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, "e dichiarò che moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio".
Quindici giorni prima, per le stesse ragioni, è stato decapitato il suo amico John Fisher, vescovo di Rochester, che sarà canonizzato insieme a lui da Pio XI nel 1931. Ora la Chiesa li ricorda entrambi nello stesso giorno.

 

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