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TESTO Cercatori di cose eterne

padre Antonio Rungi

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

La parola di questa domenica XVIII del tempo ordinario, la prima del mese di agosto, il mese delle ferie per eccellenza fa luce su un problema fondamentale per l'uomo, quello dell'avere, del possedere beni terreni e cose materiali, dimenticandosi delle cose che davvero contano davanti a Dio e per l'eternità. Nelle tre letture bibliche c'è un chiaro invito a cercare le cose eterne e a considerare vale le cose della terra, che si logorano, non danno felicità, non possono apportare benefici per sempre.

Partendo proprio della prima lettura, tratta dal Libro sapienziale del Qoelet, nella quale viene dichiarato, vano, inconsistente ed insignificante ogni cosa terrena, in ragione della morte corporale, ci viene rivolto questo appello al distacco della cose e al prudente, saggio ed oculato uso dei beni della terra” Vanità delle vanità, vanità delle vanità: tutto è vanità”. Analizzando in dettaglio le possibilità di accumulare beni e quindi pensare che tutto possa essere risolto con le cose che abbiamo, ci viene ricordato che “chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo, dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato”. D'altra parte è storia dell'umanità, delle famiglie, delle vicende sociali che il passaggio del testimone è d'obbligo con le conseguenze non sempre positive del dopo, in quanto chi non ha lavorato per nulla in un progetto di qualsiasi genere, fosse pure una proprietà familiare o aziendale, in molti casi distrugge ciò che hanno costruito gli altri. E la considerazione che fa il Qoelet è la stessa per ogni cosa: “Anche questo è vanità e un grande male”. Poi scende della valutazione dei fatti, come vanno letti alla luce della fede e soprattutto della morte: “Quale profitto viene all'uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole?” Lo conosciamo bene questo profitto: tutti i nostri giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il nostro cuore riposa. Il che è verissimo, in quanto l'agitazione per quello che ci manca, in salute, in soldi, in economia e in tutto il resto di ordine materiale ci porta all'angoscia esistenziale. Conclude il Qoelet che “anche questo è vanità!”. Volendo analizzare questo termine si comprende meglio il senso del messaggio biblico che racchiude. Vanità, deriva dal termine latino vanĭtas, che significa vano, vuoto, cioè insignificante ed inconsistente, il fatto, la condizione di essere senza corpo, privo di consistenza materiale; per cui esprime l'essere inefficace, inutile, senza effetto delle cose che si hanno o si fanno. Infatti, la vanità è la condizione propria delle cose umane, in quanto sono caduche, effimere, e il loro valore è soltanto apparente, espressione anche che sta ad indicare un ambiente di frivolezza e di dispersione, che, poi, riferito a persona, ne evidenzia la leggerezza di carattere, che porta a trattare le cose serie con frivolezza e le cose frivole con più serietà che non meritino. Per cui la vanità è vuotezza interiore; ostentazione di un'alta opinione di sé stessi, dei proprî meriti, delle proprie doti fisiche, tipico dei superbi, di certi intellettuali, o letterati; di uomini e donne eccentrici, che vogliono mettersi in mostra, pur non avendo consistenza di nessun genere. Le cose le fanno per vanità personale, per soddisfare, lusingare, sollecitare la propria o altrui vanità, così come credersi bello, voler sembrare giovane, ecc.

Il testo del Qoelet è una apertura totale ai successivi testi biblici di questa domenica, in particolare il Vangelo. Ma andando per ordine nel secondo brano di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Colossesi, sentiamo queste parole: Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Far morire in noi ciò che è netta opposizione al peccato e alle cose che non contano per l'eternità. E Paolo le cita quelle più pericolose, che ci ostacolano il cammino verso il cielo: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria, la menzogna, le divisioni tra gruppi sociali e religiosi, tra barbaro e civilizzato, tra scita o sunnita, tra schiavo e libero. Chi libera davvero da tutti questi limiti culturali, morali, religiosi, ideologici ed economici è solo Cristo, in quanto Cristo è tutto e in tutti.

E allora, come ci ricorda il vangelo di oggi, arricchirsi in questo mondo di soldi e di beni come fanno tanti sulla terra, possedere sempre di più cose inutili ed in eccessi potrebbe determinare in chi ha tutto questo la convinzione che è eterno e che i porterà con se quello che ha realizzato, non sempre onestamente.
Uno tra la folla chiede a Gesù di intervenire in una lite tra lui e suo fratello per questioni di eredità. In quante famiglie esiste oggi purtroppo anche questo problema, tra fratelli, sorelle, parenti, figli ed eredi più o meno legittimi?
Gesù non risponde direttamente, ma affronta il problema alla radice; si colloca su un piano più alto, mostrando l'errore che è alla base della stessa domanda. Tutti e due i fratelli hanno torto perché la loro lite non deriva da ricerca di giustizia ed equità, ma dalla fame insaziabile di possedere e di avere più dell'altro o quanto l'altro. Questa si chiama cupidigia ed è un vizio capitale. Tra loro due non esiste più che l'eredità da spartire. L'interesse mette a tacere ogni sentimento, disumanizza.
Per mostrare quanto questo atteggiamento sia sbagliato, Gesù aggiunge, come è suo solito, una parabola, quella del ricco stolto che crede di essere al sicuro per molti anni, avendo accumulato molti beni e a cui la notte stessa viene chiesto conto della vita. Gesù conclude la parabola con le parole: "Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio". C'è dunque una via d'uscita al "tutto è vanità": arricchirsi davanti a Dio. In che consiste questo diverso modo di arricchire, Gesù lo spiega poco dopo, nello stesso Vangelo di Luca: "Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore" (Lc 12, 33-34).
C'è qualcosa che possiamo portare con noi, che ci segue dovunque, anche oltre la morte: non sono i beni, ma le opere; non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che abbiamo fatto. La cosa più importante nella vita non è dunque avere dei beni, ma fare del bene. Il bene avuto resta quaggiù, il bene fatto lo portiamo con noi.
Gesù, nel testo del vangelo di oggi, non evoca la morte come una minaccia per farci disprezzare i beni della terra. Gesù ci ricorda semplicemente che l'uomo non vive di solo pane. Che anzi, di solo pane, di solo benessere, di sole cose, l'uomo muore. Che la tua vita non dipende da ciò che si possiede, non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. La vita vive di vita donata. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo dato via. L'uomo del Vangelo che si gode tutti i suoi averi, vive della sola avarizia e non si può godere tutto quello che possiede. E' nella tristezza e solitudine più tremenda, perché il bello del Vangelo consiste nel dare e non nell'avere e possedere. I soldi non fanno felici gli uomini, né li rendono eterni ed immortali, al limite li rendono solo meno preoccupati del cibo quotidiana, ma oltre questo non si va con i soli soldi e beni, senza avere un cuore buono e generoso.
Con questa pagina del Vangelo, Gesù intende rispondere a una domanda globale di felicità che si nutre di almeno due condizioni: la felicità non può mai essere solitaria e ha sempre a che fare con il donarsi.

Facciamo nostra questa bellissima preghiera che ci insegna ad usare saggiamente i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo. E' un messaggio importante soprattutto in questi giorni di inizio agosto nei quali prevalgono i discorsi quali le vacanze, il divertimento, il mangiare, i viaggi e tutto quello che è il piacere, anche legittimo della vita, che poi si trasforma in vuoto esistenziale se non è corroborato dalla prospettiva eterna e spirituale. Un testo scritto da me e che vi offro come motivo di preghiera e di riflessione del mese di agosto:
Fa', o Signore, che abbiamo mani pure,
lingua pura, pensieri e desideri puri.
Aiutaci a lottare per il bene,
difficile da compiersi su questa terra,
contrastando il male che si compie in ogni campo.
Impediscici che prendiamo abitudini
che rovinano la nostra ed altrui vita,
improntando la nostra esistenza al solo piacere terreno.
Insegnaci a lavorare duramente
per dare più spazio ai valori eterni.
Perdonaci per il troppo attaccamento alle cose della terra
ed aiutaci a cercare continuamente le realtà del cielo.
Rendici capaci di aiutare gli altri,
allontanando da noi ogni bramosia
del guadagno facile
e la ricerca del possesso illimitato.
Debella in noi ogni avarizia e cupidigia,
che rende il nostro cuore insensibile
ai bisogni dei nostri fratelli.
Offrici, Signore, nuove occasioni
per fare il bene su questa terra,
ben sapendo che
c'è più gioia nel dare
che nel possedere. Amen.

 

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