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TESTO Deponi la rozzezza, la porta è stretta

don Angelo Casati   Sulla soglia

V domenica dopo Pentecoste (Anno C) (14/07/2019)

Vangelo: Lc 13,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,23-29

23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.

Troppe le suggestioni nelle letture, anche perché il brano di Luca verosimilmente raduna alcuni detti di Gesù. E anch'io andrò per suggestioni, cominciando dalla porta stretta di cui parla Gesù. Ebbene, non era forse lui ad andare verso una porta stretta? Era in salita, verso Gerusalemme. Là lo aspettava una porta stretta. E io non so se quel giorno a fargli parlare di porta stretta fu il pensiero della sua porta stretta, verso cui era incamminato e che avrebbe oltrepassata. Porta stretta, una morte di croce, morte non da eroe ma da malfattore, anzi da empio, un sovversivo della religione. A quel tale, che lungo la strada gli fece una domanda sul numero dei salvati, - una domanda che a volte ci facciamo anche noi - non rispose con numeri, non gli andavano le statistiche, ma richiamando una condizione per la salvezza, quella di impegnarsi: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta".

Sforzatevi, in greco "lottate" - agonízesthe - per entrare. Agonia. Penso che l'agonia sia l'ultima, porta stretta, passaggio stretto. Il Cardinale Martini un giorno parlò della morte come di un passaggio stretto in parete per chi sta scalando un monte: quasi ti scarnifichi ad attraversarlo, ma poi sei nella luce immensa della vetta. Penso che nella vita siano tante le scelte strette cui siamo chiamati. Nel nostro racconto - come sempre accade nei vangeli, si aprono orizzonti, orizzonti e sorprese. Una prima sorpresa è che, alla domanda di un tale, uno di numero :"Signore, sono pochi quelli che si salvano?", Gesù risponda con un plurale: "Sforzatevi...". Dunque quel tale appartiene a una categoria. Potremmo dire che a trovare la porta chiusa è una categoria. E dunque sarebbe intrigante sorprendere i connotati di questa categoria.

Ebbene mi sembra che le parole di Gesù siano esplicite. Chi sono quelli che bussano e la porta è chiusa? Chi sono quelli che ribussano e si sentono dire: "Non so di dove siete"? Pensate, sono quelli che hanno l'aria di essere di casa con il padrone, sono convinti di avere qualche diritto all'accesso, un diritto, secondo loro, acquisito con pratiche - diremmo - religiose. Sentiteli. "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". Attualizzando diremmo: "Abbiamo partecipato all'eucaristia, ti abbiamo organizzato raduni mondiali. Non è forse questo che ci fa salvi? Ciò che abbiamo fatto mettendo al centro te, i nostri atti di devozione, le nostre catechesi, i nostri gruppi?". E perché, nonostante tutto questo, la porta rimane chiusa? Ecco la motivazione, esplicita, non si può equivocare: "Voi non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia".

Ebbene qui c'è uno dei deragliamenti pazzeschi del vangelo, deragliamenti dal nostro modo di pensare la religione. Tu pensi di avere aperta la porta perché hai fatto qualcosa per Dio e lui ti chiede che cosa hai fatto per gli altri: se hai praticato o no la giustizia. Come a dire che è questo che gli sta a cuore. Senza questo, la porta rimane chiusa. Voi mi capite, non sto dicendo che non conti nutrirci del pane della parola di Dio o del pane dell'Eucaristia, ma, se tutto questo è fatto in verità, accade che sempre più noi capiamo che cosa sta a cuore a Dio: gli sta a cuore la gustizia, che siamo operatori di giustizia e non di ingiustizia. Noi veniamo qui per imparare sempre più a far discernimento nella vita e a scegliere di operare il bene, il bene comune, la giustizia. In questi giorni ho letto una frase di un cardinale, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, che mi sembra sintetizzare in modo limpido queste parole che oggi abbiamo ascoltato da Gesù: "Essere cristiani" dice "non significa essere religiosi ma più umani".

Forse potremmo dire che la porta è stretta nel senso che il criterio è: se siamo o no più umani, se siamo o no donne e uomini per la giustizia. Capite allora perché, alla fin fine, la porta, segnalata come stretta, diventa una porta per la quale passano una infinità di persone, perché il criterio sarà: operatori di giustizia o di ingiustizia? E allora, dice Gesù: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio". Questi che passano la porta lui sa di dove sono, vengono da ogni dove, quanto a popolo o religione, ma tutti vengono da un paese, il paese della giustizia: operatori di giustizia. In questa luce oggi vorrei sfiorare l'episodio di Sodoma e Gomorra. Sul quale a lungo si è equivocato. Qual è il peccato della città? E' un peccato contro l'ospitalità. Due dei tre ospiti di Abramo, arrivano a Sodoma e Lot insiste perché entrino nella sua casa e vi passino la notte. Ebbene gli abitanti di Sodoma pretendono che Lot si consegni loro per abusarne. Ma Lot si rifiuta: l'ospite è sacro; inviolabile l'ospitalità. Non ci sono eccezioni.

Ecco un uomo giusto, che verrà preservato dalla distruzione. Ma giusto e umano è anche Abramo. Noi tutti - immagino - ancora una volta ci siamo incantati alla sua preghiera, che tenta di scongiurare la distruzione di Sodoma. Con quel suo appassionato contrattare con Dio sui giusti che potrebbero esserci nella città: ce ne saranno cinquanta? Forse quarantacinque, forse quaranta, forse trenta, forse venti, forse dieci? E qui Abramo si ferma. Qualcuno osserva che Abramo avrebbe potuto osare di più. E magari arrivare a un giusto. Figura di Gesù il giusto, in cui tutti siamo salvati dalla distruzione. Forse è vero, però che grande Abramo! Che non si rassegna alla distruzione di una città. Dopo tutto non è la sua. Anche lui del paese dei giusti! Una ingualcibile umanità! La sua e dovrebbe essere anche la nostra: siamo discendenza di Abramo. Condizione? Essere più umani!

Deponi la rozzezza, la porta è stretta.

 

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